Il “colpo di coda” dell’ultima fase glaciale

e gli effetti sul territorio montano, dalla Carnia al Tarvisiano

Abstract

The contribute concerns the effects left on the northern Friuli during the Late Glacial period, approximately confined between 16.000 and 11.000 years ago. It followed the Last Glacial Maximum (LGM) drastic ice recession occurred about 19.000 years ago ‑ and can be considered as the LGM ‘tall strike’, It was due to a global temporary drop in the average temperature which caused the growth of several but small ice nuclei, confined around the highest Alpine peaks. In the Carnic and Julian Alps the maximum length of the related glacial tongues was just some km far from the areas of ice production.

The Late Glacial effects are mainly represented by heterogeneous deposits forming terminal (end) moraines distributed along the valley bottoms and/or the mountain slopes. They mark the most advanced position of the small Late Glacial ice tongues before they receded. The end moraines are the only remnants to testify the range and setting of the Late Glacial ice nuclei. More in detail, the contribute is devoted to show the easy way to recognize on the ground this kind of peculiar glacial evidences, useful to get a detailed glimpse on the recent past of our territories.

sz-locUn’insolita premessa

Vi è mai capitato ‑ in autostrada ‑ di transitare sul luogo di uno scontro verificatosi qualche ora prima e ormai risolto? Probabilmente sì. Degli automezzi incidentati, già allontanati dai carri attrezzi, non c’è più traccia. Sull’asfalto restano però, sicuramente ben visibili, le strisciate delle rispettive frenate. Queste tracce, assieme all’inevitabile spartitraffico deformato, alle chiazze di olio e ai minuti frammenti di vetro raggruppati in punti particolari dell’asfalto, costituiscono gli indizi capaci di raccontarvi la dinamica di quanto accaduto, pur nell’assenza dei diretti protagonisti. Dunque… dagli effetti alle cause.

Adesso, improvvisamente, siete proiettati sulla scena di un crimine. Le impronte dell’assassino o presunto tale, la distribuzione delle chiazze di sangue, i segni sul corpo della vittima, la finestra al primo piano spalancata sul cortile e la porta chiusa dall’interno… A voi, e agli investigatori che seguiranno il caso, la scena si presenta perfettamente statica. È la cristallizzazione di in un preciso istante temporale. Solo l’analisi e la comparazione degli indizi raccolti in quell’appartamento riusciranno a farla ‘rivivere’, suggerendovi la dinamica degli eventi e (forse) l’identità del colpevole. Di nuovo… dagli effetti alle cause.

Ora invece, dopo l’incidente in autostrada e il delitto tra le mura domestiche, siete catapultati tra i monti dell’alto Friuli. Potrebbe trattarsi di Alpi Carniche o Tolmezzine, o anche di Alpi Giulie, questa volta nei territori di Pontebba o Tarvisio, oppure nelle Valli Raccolana e di Resia. Per ora il particolare geografico resta di secondaria importanza. Dalla vostra postazione di fondovalle vi guardate attorno. Vegetazione ovunque: alberi ed erba, boschi e prati. Un piccolo corso d’acqua scorre tra i propri depositi detritici, ciottolami e sabbie. Vi trovate, con tutta probabilità, intorno ai 1.000‑1.500 m di quota.

Cosa collega tra loro un incidente autostradale, la scena di un crimine e il fondovalle di un territorio montano scelto a caso nell’alto Friuli? In tutte e tre le situazioni sono stati abbandonati degli indizi in grado di farci tornare indietro nel tempo, alla scoperta di quanto accaduto poche ore prima (per l’incidente e per il crimine) o qualche migliaio di anni fa (per il territorio). Nel caso di quesrultimo sono gli indizi geologici a suggerirci degli inaspettati colpi di scena. Li forniscono alcuni depositi di fondovalle molto caratteristici, riconoscibili per le loro forme altrettanto particolari. Ancora una volta.., dagli effetti alle cause.

Cosa mai potrà raccontarci di così interessante un territorio che ‑ all’apparenza ‑ sembra identico a se stesso da almeno 19.000 anni? Da quando cioè i grandi, estesi ghiacciai, connessi all’ultimo massimo glaciale (LGM) e che ricoprivano mezzo Friuli di allora, si sono rapidamente ritirati, scomparendo e lasciando l’intero settore nelle mani delle acque superficiali. Sono proprio questi strani, particolari indizi, abbandonati lungo i fondivalle dell’alto Friuli, a narrarci una storia differente e per molti versi affascinante. Sono tutti effetti ben noti al geologo, ma che al tempo stesso diventano anche percepibili da chiunque percorra il territorio animato da curiosità e capacità d’osservazione. Vale la pena di descriverli per poi comprenderne le cause.

Malga Arvenis di sopra (quota 1670 m), collocata 300 m più in basso della vetta del monte omonimo. La malga sorge sopra una tipica morena frontale tardiglaciale Malga Aivenis di sopra (1670 m), builted on a terminal moraine arc referred to the Late glacial period

Fig. 1 – Malga Arvenis di sopra (quota 1670 m), collocata 300 m più in basso della vetta del monte omonimo. La malga sorge sopra una tipica morena frontale tardiglaciale
Malga Arvenis di sopra (1670 m), builted on a terminal moraine arc referred to the Late glacial period

 

Gli indizi sulla “scena del crimine”

Risalendo le vallate dell’alto Friuli, specialmente quelle le cui testate rocciose si innalzano oltre i 2.000 metri di quota, ci si imbatte invariabilmente in accumuli (rivestiti da erba elo vegetazione) formati da detriti rocciosi e conformati a dosso, La loro forma è molto caratteristica: arcuata, a mezzaluna. Inoltre, hanno estensioni che variano da poche decine di metri a qualche centinaio al massimo. Le loro altezze (ossia gli spessori del deposito) sono in proporzione e possono raggiungere valori massimi di 50‑70 metri.

In genere, questo tipo di accumuli ‑ tutti riferibili a una causa comune ‑ sono ancora integri solo se si trovano “appoggiati” a un versante vallivo. Al contrario, quelli posizionati nei fondivalle, lungo l’asse fluviale della vallata, appaiono sempre mutilati dalle erosioni torrentizie che, nel migliore dei casi, ne hanno sfondato la porzione centrale, asportandola e ridistribuendola più a valle sotto forma di detriti fluviali.

Da questo momento in poi ci trasformeremo in geo‑investigatori. Per i più giovani diventeremo dei particolari elementi del R.I.S. (Reparto Investigazioni Scientifiche); per chi invece, come me, è ormai in là con gli anni, ci trasformeremo in una sorta di Ten. Colombo geologico (che fa sempre la sua figura).

Gli indizi sono sotto gli occhi di tutti e, una volta compresi, sono facilmente riconoscibili percorrendo il territorio. Eccoli, relativamente all’alto Friuli, ma i dati sono comuni a tutto l’arco alpino.

  • Collocazione. In zone prossimali di valli e vallecole le cui cime più alte hanno quote intorno o superiori a 2.000 m.
  • Forma. Dossi che in pianta sono conformati ad arco, a mezzaluna; a volte si presentano vistosamente modificati da successive erosioni.
  • Superficie. Si presentano sempre rivestiti da sottili spessori di suolo e coperti da vegetazione che, a seconda delle quote, può variare dal bosco d’alto fusto fino alla semplice copertura erbosa.
  • Contenuto. Occasionali cedimenti e tagli antropici evidenziano che questi depositi sono sempre non cementati, sciolti, e sono formati da una congerie di massi, blocchi, frammenti e fanghi, accumulati sempre in modo caotico, non selezionato.
  • Composizione. Gli elementi grossolani (massi, blocchi e frammenti) che costituiscono ogni singolo deposito rispecchiano i tipi di rocce presenti nella rispettiva vallata, nelle zone a monte dell’accumulo.
Fig. 2 - Quello che resta della morena tardiglaciale di Timau, precocemente sventrata dall'erosione del Torrente But The remnants of a large end moraine arc (Late glacial) are still visible near at the Timau village, along the But Valley. The But streams are responsible for the deep erosion

Fig. 2 – Quello che resta della morena tardiglaciale di Timau,
precocemente sventrata dall’erosione del Torrente But
The remnants of a large end moraine arc (Late glacial) are still visible near at the Timau village,
along the But Valley. The But streams are responsible for the deep erosion

 

Fig. 3 - Ricostruzione della massima espansione tardiglaciale nel settore alpino camico, circa 15.000 anni la  The map shows the maximum expansion of the Late Glacial ice cores in the Carnic Alps about 15.000 years ago

Fig. 3 – Ricostruzione della massima espansione tardiglaciale
nel settore alpino camico, circa 15.000 anni fa
The map shows the maximum expansion of the Late Glacial ice cores
in the Carnic Alps about 15.000 years ago

 

Le deduzioni che ne derivano non lasciano dubbi in proposito (dagli effetti alle cause). A tale proposito si ricordi però che un problema, uno scenario, una situazione, un contesto, per essere risolti o correttamente interpretati devono di volta in volta assecondare TUTTE le variabili che fanno capo ai dati o ai caratteri che li rappresentano.

Una parte delle evidenze (contenuto e composizione) potrebbe inizialmente suggerire che si tratti ‑ impropriamente ‑ di corpi di frana scesi verso il fondovalle (collocazione). Nel nostro caso specifico, una delle variabili (forma) si oppone a questa soluzione, contrastando con l’interpretazione che sembra condurre ai corpi di frana. Inoltre, ogni accumulo di frana che si rispetti ha nelle vicinanze, a quote naturalmente superiori, la sua puntuale nicchia di distacco che, nei nostri casi, è sempre mancante.

Né si potrebbe parlare di un’origine riferibile ad accumuli noti come detriti di falda, quelli che si staccano con frequenza da una parete rocciosa depositandosi alla sua base e dando luogo a forme dalle superfici molto regolari, inclinate sempre poco meno di 40°. Non sono questi i dati che abbiamo raccolto dai nostri depositi. Inoltre, dall’ultimo degli indizi osservati direttamente sul terreno (superficie) ‑ la presenza di suolo e di vegetazione che, dove l’altitudine lo consente, non è certo pioniera ‑ possiamo trarre l’evidenza che tali accumuli non ricevono più alimentazione da molto tempo.

Verso la soluzione

Scartando dunque queste possibilità (accumuli di frana e depositi di falda detritica), resta un’unica tipologia in grado di rispecchiare tutti i dati osservati: il deposito glaciale. Più in particolare, facendo riferimento alle morfologie dei depositi investigati, i dati ‑ cioè gli effetti ‑ ci conducono ad interpretarti come morene frontali. Ossia quelle forme glaciali che, con la loro presenza, ricalcano e riproducono “al negativo” un’altra forma, ancor più interessante. Quella della parte terminale delle relative lingue glaciali che le hanno propiziate e delle quali definiscono univocamente l’antica posizione occupata un tempo all’interno della relativa vallata.

Una lingua glaciale non scende oltre una certa posizione altimetrica perché a quote inferiori le temperature via via meno rigide non la farebbero “sopravvivere”, sciogliendola. La lingua glaciale è un nastro trasportatore che, partendo dalla sua zona di accumulo ‑generalmente un circo glaciale delle alte quote ‑ si muove continuamente verso il basso con velocità che in certi casi può raggiungere il metro al giorno.

Per ragioni di stabilità climatica le lingue glaciali possono sostare nella medesima posizione da alcuni secoli a molti millenni. Quando questo accade, continuano a scaricare materiale su materiale lungo il proprio perimetro frontale. Di che si tratta? Di massi, blocchi, frammenti e fanghiglie che frequentemente cadono o franano sulla superficie ghiacciata, lungo il suo intero percorso. Aquesti si aggiungono altri fanghi, “grattugiati” alle rocce del fondovalle grazie alla pressione del nastro di ghiaccio in lento movimento. Ogni cosa, come ai piedi di una scala mobile, sarà accumulata alla sua fronte, finendo per formare la morena frontale, sottolineata dalla tipica forma arcuata e dal deposito altrettanto tipicamente caotico e disorganizzato.

Fig. 4 - Ricostruzione della massima espansione tardiglaciale nel settore delle Alpi Giulie, circa 15.000 anni fa The map shows the maximum expansion of the Late Glacial ice cores in the Julian Alps about 15.000 years ago

Fig. 4 – Ricostruzione della massima espansione tardiglaciale
nel settore delle Alpi Giulie, circa 15.000 anni fa
The map shows the maximum expansion of the Late Glacial ice cores
in the Julian Alps about 15.000 years ago

Tali particolari accumuli ci offrono la possibilità di recuperare l’aspetto che il territorio aveva nel momento stesso in cui si generavano. Ora che abbiamo compreso (con l’investigazione e l’analisi) che si tratta di morene frontali, sulla base della loro posizione proviamo a disegnare, sulla carta dell’alto Friuli, i relativi ghiacciai. Ne scaturisce un ampio settore punteggiato da tanti piccoli centri glaciali di modeste dimensioni, ma sempre ben decifrabili. I maggiori depositi tardiglaciali di questo tipo sono quelli ubicati sul fondo dell’alta Valle del But (le acque della sorgente carsica del Fontanone di Timau scorrono sopra l’accumulo), della Vai Saisera (sul rilievo morenico e intorno ad esso è sorto il paese di Valbruna) e della Valle di Fusine (al suo sbocco nella piana che conduce al confine di stato con la Slovenia).

Le indicazione paleoclimatiche ricavabili dalle pubblicazioni specializzate, collocano questo evento intorno a 16.000 anni fa, quando un breve, quanto inatteso deterioramento climatico (inatteso specialmente per i frequentatori paleolitici del Friuli e dell’intero arco alpino del tempo!), causò quello che familiarmente può essere definito il “colpo di coda” dell’ultimo massimo glaciale (LGM).

Il calo delle temperature medie durò poche migliaia d’anni, concludendosi in corrispondenza del deciso riscaldamento climatico che condiziono il pianeta poco prima di 11.000 anni fa. Fu un brevissimo istante se confrontato con i tempi geologici, ma sufficiente per lasciare precise testimonianze in tutto il territorio alpino e in particolare su quello friulano.

Un’informazione che è rimasta “fossilizzata” nei caratteri del territorio grazie a piccoli e all’apparenza insignificanti, labili indizi.

 

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