Nuove strategie per la comunicazione scientifica museale delle Scienze della Terra 2013

Corrado Venturini*, Federico Pasquaré**

*Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, Università degli Studi di Bologna

**Dipartimento di Scienze Teoriche e Applicate, Università degli Studi dell’Insubria, Varese

Questo contributo – autorizzato alla pubblicazione sul web – rappresenta la versione estesa, arricchita di immagini e testi, del lavoro Venturini C. & Pasquaré F., 2013 – Strategie di comunicazione delle Scienze della Terra. Nuova Museologia, 29 (2), 38-44.

Riassunto

Scopo di questo contributo è quello di suggerire modalità e accorgimenti che, in contesti museali, potrebbero rivelarsi utili alla efficace divulgazione delle informazioni riguardanti le Scienze della Terra e, più in particolare, dei processi che si attuano sulla sua superficie, emersa e sommersa. Il lavoro intende anche porre le premesse per una discussione articolata, aperta a tutti i settori della museologia e volta a favorire una trasformazione analoga a quella già posta in essere in alcuni ambiti museali anglosassoni, dove i materiali e i reperti in esposizione si giovano di supporti divulgativi rappresentati da adeguati testi ed immagini, affiancati a sempre più frequenti tecnologie multimediali. La discussione utilizza, a titolo di “campione metodologico”, l’ambito concettuale delle Scienze della Terra, tra le sfere potenzialmente più suscettibili di divulgazione scientifica museale. Sono prese in considerazione le diffuse criticità e lacune presenti nei pannelli esplicativi che ne integrano le relative sezioni museali. Parallelamente si cerca di suggerire una serie di proposte operative mirate alla realizzazione di pannelli esplicativi in grado di assecondare quello che si configura come un requisito fondamentale della funzione museale: lo stimolo all’apprendimento e all’approfondimento di contenuti anche esterni ai perimetri museali.

Parole chiave

Museologia, pannello esplicativo, Scienze della Terra, divulgazione, impostazione grafica.

 

INDICE

  1. Introduzione
  2. Criticità dei pannelli museali
  3. Un paradigma per le Scienze della Terra
  4. Strumenti e strategie
  5. L’applicazione delle strategie
  6. L’applicazione del paradigma
  7. Conclusioni e suggerimenti operativi

1. Introduzione

Negli ultimi venti anni, la museologia anglosassone ha assistito allo sviluppo di un importante rinnovamento concettuale e metodologico, affermatosi in risposta all’esigenza di rendere più accessibile al pubblico la componente scritta e grafica associata alle collezioni, nella fattispecie le didascalie e i pannelli esplicativi (Faron, 2003). Nei molti decenni che hanno preceduto questo rinnovamento epocale, un tratto distintivo dei musei anglosassoni così come di quelli del resto del mondo occidentale, era stato quello di affiancare all’allestimento delle collezioni didascalie e pannelli che non svolgevano alcuna funzione divulgativa, ma che al contrario avevano quasi sempre l’effetto di generare nei visitatori difficoltà di lettura, di interpretazione e di memorizzazione. Di fatto, fino agli anni ’80 del secolo scorso, i curatori di musei, tanto d’arte che scientifici, nonché i museografi responsabili dell’attività di allestimento delle collezioni, dedicavano gran parte del loro tempo ed impegno alla selezione e catalogazione degli oggetti da esporre, relegando a compito accessorio il momento dedicato alla divulgazione dei contenuti (Fruitman & DuBro, 1979). Inoltre, tanto le didascalie quanto i pannelli erano realizzati dagli stessi curatori, specialisti di settore (scientifico o artistico) con scarsa attitudine all’attività di divulgazione. Da ciò conseguiva che i testi di accompagnamento alle collezioni risultavano, quasi senza eccezione, sovraccarichi di termini tratti dal “gergo disciplinare” e per tale motivo difficilmente comprensibili al visitatore medio che spesso si accontentava della mera fruizione estetica degli oggetti esposti. Questa consuetudine era ben nota agli stessi curatori e direttori di strutture museali, tanto che in occasione di conferenze e seminari di museologia, il concetto “il pubblico non legge i testi” era ripetuto da molti degli addetti ai lavori come realtà ormai acquisita ed immutabile (McManus, 1989). Tale scarsa attenzione all’aspetto divulgativo ed al ruolo della componente testuale in ambito museologico affondava le sue radici in quello che non di rado si configurava come autentico disinteresse da parte dei curatori. Tra questi, parecchi erano quelli che credevano fermamente nel valore dell’essenza “non-interpretata” dell’oggetto esposto (McManus, 1989). Durante quasi tutto il XX secolo, ad esclusione delle ultime due decadi, molti musei erano dunque ridotti alla stregua di “magazzini di oggetti” nei quali erano assenti tanto la componente pedagogica quanto quella ricreativa che, in una visione moderna del ruolo delle istituzioni museali, dovrebbero al contrario rappresentare il fondamento di qualsiasi esposizione. Tuttavia, a partire dalla fine degli anni ’70 si è assistito ad una progressiva e costante trasformazione dello scenario sopra delineato. Questo, in particolare, si è verificato nei paesi anglosassoni i quali, di fatto, nell’ultimo cinquantennio sono stati i principali propulsori di ogni mutamento sociale e culturale. Come sottolineato da Serrell (1996), da allora il concetto di “dialogo” ha cominciato a guadagnare considerazione in ambito museologico quale componente imprescindibile della relazione visitatore-museo. I testi hanno dunque subìto un’evoluzione nella tonalità e nell’aspetto: da meri “estratti di libri di testo” privi di componenti grafiche, a contributi divulgativi realizzati con linguaggio semplice, coinvolgente e diretto, corredato da immagini che hanno guadagnato gradualmente spazio ed importanza nella struttura dei pannelli esplicativi (Faron, 2003). Nelle ultime due decadi alcuni lavori hanno cercato di investigare le modalità di interazione del pubblico con i pannelli esplicativi nei musei. Un contributo (Falk & Dierching, 1992) sottolinea come il pubblico sia portato a leggere i pannelli che maggiormente si avvicinano alla sfera personale, tanto a livello culturale che emotivo. I risultati di una ricerca di Crane et al. (1994) suggeriscono che alcuni visitatori considerano i pannelli esplicativi un “problema”, mentre altri li apprezzano. Tra le ulteriori risultanze del lavoro di Crane et al. (1994), di particolare interesse il fatto che il pubblico femminile legga più di quello maschile. Secondo Fairchild (2007) i visitatori sarebbero portati a leggere esclusivamente i titoli, senza approfondimenti. Per dare un’idea di quanto sia avvertita l’esigenza, in particolare negli Stati Uniti d’America, di migliorare costantemente la produzione della componente scritta e grafica a corredo degli oggetti esposti, è sufficiente ricordare che nel 2004 la American Association of Museums (AAM) ha organizzato una conferenza durante la quale esperti di museologia da tutto il mondo sono stati invitati a produrre esempi di testi museali da sottoporre all’attenzione di una apposita commissione. Le migliori tra le 114 proposte pervenute sono state premiate e illustrate al pubblico della conferenza annuale della AAM, evento nel quale sono stati altresì presentati volumi e articoli sul tema delle “migliori pratiche” di esposizione scritta in ambito museale (Peterson, 2005). Al contrario di quanto avvenuto nell’ambito museologico anglosassone, in Italia è a tutt’oggi mancata una discussione metodologica finalizzata ad individuare delle buone pratiche e delle linee guida in grado di stimolare curatori e allestitori verso la corretta realizzazione di supporti divulgativi adeguati. Supporti che si propongano e prefiggano di condurre il visitatore, in modo semplice e attrattivo, verso la fruizione facilitata dell’esibizione, sia essa artistica, naturalistica o tecnologica. Questo lavoro intende inoltre porre le premesse per una discussione articolata, aperta a tutti i settori della museologia e volta a favorire una trasformazione analoga a quella già posta in essere in alcuni ambiti museali esteri dove i materiali e i reperti in esposizione si giovano di supporti divulgativi rappresentati da adeguati testi ed immagini, affiancati a sempre più frequenti tecnologie multimediali. La discussione utilizza, a titolo di “campione metodologico”, l’ambito concettuale delle Scienze della Terra, potenzialmente tra le sfere più suscettibili di divulgazione scientifica museale. Sono considerate le diffuse criticità e lacune presenti nei pannelli esplicativi che integrano le sezioni museali di Scienze della Terra. Parallelamente si cerca di fornire una serie di proposte operative mirate alla realizzazione di pannelli in grado di assolvere ad un requisito fondamentale: lo stimolo all’apprendimento incoraggiando interessi e approfondimenti esterni ai perimetri museali. A tal fine saranno proposte e descritte alcune innovative chiavi di lettura dei fenomeni geologici. Tali chiavi di lettura rivestiranno il ruolo di “paradigma concettuale e divulgativo” per la realizzazione di testi, in particolare quelli utilizzati nei pannelli esplicativi, più efficaci e fruibili di quelli oggi presenti nelle sale di molti nostri musei. Alcune applicazioni delle sopra menzionate chiavi di lettura, relative a differenti contesti territoriali e processi geologici attivi sul nostro pianeta, ne esemplificheranno l’utilizzo. Tale modo di procedere è applicabile ad altri ambiti di intervento (archeologico, storico, artistico,…) e agli esperti museografi delle singole realtà culturali è demandata la ricerca delle rispettive chiavi di lettura, quei paradigmi concettuali finalizzati alla divulgazione e adatti a semplificare e ordinare in modo fruibile e memorizzabile i contenuti delle singole realtà culturali.

2. Criticità dei pannelli museali

I contenuti di questo capitolo, pur facendo riferimento diretto alle sale museali dedicate alle Scienze della Terra, sono applicabili a molte altre tipologie di argomento trattate anche – per traslato – da tutte quelle mostre che prevedono la realizzazione di pannelli verticali, a parete, con o senza l’ausilio di materiali ostensivi. Le più moderne tendenze in campo museale prevedono un utilizzo sempre più massiccio della multimedialità e della realtà virtuale. Nonostante il crescente impiego del computer continuano a sopravvivere i cosiddetti ‘pannelli a parete’, presenti sia come principale mezzo di trasmissione del sapere – spesso condizionato da minori disponibilità di finanziamento – sia come insostituibile mezzo di comunicazione da affiancare a scelte ed opportunità decisamente moderne. Esistono in letteratura molti riferimenti diretti ai ‘pannelli a parete’ usati in ambito museale. Nella riflessione di Miglietta (2011) se ne parla da più punti di vista, come ad esempio l’illuminazione dei testi (Scudero, 2006), la scelta e la grandezza dei caratteri dei titoli e dei testi (Wolf & Smith, 1993; Serrell, 1996; Aber, 2000; Bitgood, 2002; Fairchild, 2007), la posizione dei testi rispetto agli oggetti cui si riferiscono (Bitgood et al., 1989; Miles & Tout, 1998), il contrasto fra testi e sfondo dei pannelli (Appiano, 1998; Marvulli, 2003; Matricciani, 2000; Widmann 2006). In questa sede il “problema dei pannelli esplicativi” è affrontato da un punto di vista differente, meno tecnico e più rivolto alle modalità di scelta e strutturazione dei contenuti. Contenuti che, come sempre accade, si compongono di testi, figure (fotografie e disegni) e relative didascalie. A nessuno sarà sfuggita, frequentando musei e mostre, la difficoltà di appropriarsi delle informazioni contenute nei pannelli esplicativi. Le ragioni sono molteplici e possono essere riassunte in pochi punti fondamentali: a) rapporto figure/testi fortemente sbilanciato a favore di questi ultimi; b) testi troppo verbosi, analitici e perciò difficilmente assimilabili, concepiti più per opuscoli, fascicoli o volumi, e certamente non adatti a un pubblico peripatetico come quello che visita musei e mostre; c) contenuti vari e diversificati trasmessi spesso senza un ordine gerarchico che ne faciliti la comprensione; d) riferimenti alle figure dispersi all’interno del testo e mal recuperabili; e) didascalie talvolta troppo estese o, meno frequentemente, criptiche; f) mancanza di una impostazione grafica in grado di facilitare la fruizione dei contenuti assecondando un percorso di lettura logico. A tutto questo si aggiunge un particolare tutt’altro che trascurabile. Queste carenze, superabili nel caso di un unico pannello esplicativo, diventano fortemente penalizzanti quando – ed è la norma – si perpetuano attraverso l’intera serie di pannelli dedicati a un insieme di argomenti connessi. Di fronte a tale situazione la logica reazione della pressoché totalità dei visitatori diventa la scelta coatta di osservare i reperti in esposizione (a volte sovrabbondanti), guardare (ma non osservare!) il materiale iconografico a supporto degli stessi, dedicarsi alla lettura di qualche breve didascalia, assimilando (questo sì) il solo titolo del pannello (Fairchild, 2007).

fig01

Fig. 1 – Pannello espositivo (dimensioni 200 x 120 cm, Venturini, 2011) che presenta evidenti criticità
in grado di distogliere il visitatore dalla comprensione dei suoi contenuti.

La Fig. 1 propone un pannello (2 x 1,20 m) tratto da una mostra permanente formata da 15 elementi complessivi (Venturini, 2011). La strutturazione dei vari elementi di cui si compone questo pannello (testi e immagini) si presta ad essere analizzata e criticata evidenziando alcune delle già citate lacune e non possedendo l’indispensabile requisito di chiarezza espositiva. Durante la fase di progettazione di un pannello esplicativo occorre prestare molta attenzione, in quanto le eventuali carenze presenti nella sua strutturazione influiscono negativamente sui fruitori dei contenuti, generando in loro sensazioni di smarrimento destinate inevitabilmente a trasformarsi in disinteresse per l’argomento trattato. Prescindendo dai contenuti scientifici saranno di seguito evidenziate e commentate le diffuse criticità presenti in questo pannello. Questo al fine di evidenziare alcuni degli errori comunemente commessi durante la fase di progettazione di simili prodotti grafico-testuali. I punti critici del pannello in oggetto possono essere così sintetizzati:

  1. L’impatto visivo iniziale prodotto sui potenziali osservatori è decisamente negativo. La ragione è da ricercarsi nell’assenza di una strutturazione gerarchica tra i vari oggetti; nello spazio del pannello tutto appare concettualmente collocato sul medesimo piano (Venturini, 2010a). L’inserimento dei due numeri (1 e 2), che nelle intenzioni dovrebbe guidare il visitatore nella lettura progressiva dei contenuti, non basta a creare ordine. Così come il fondo colorato che evidenzia le informazioni del comparto 1 non appare sufficiente a distinguerle da quelle relative al comparto 2. Né la mappa geologica (in alto a sinistra), con le due frecce che puntano verso i rispettivi comparti sottolineati dai corrispondenti titoli, è in grado di fornire una sensazione di ordine gerarchico tra gli argomenti, indispensabile requisito ai fini di una lettura facilitata dell’insieme (Venturini, 2010a).
  2. Come inevitabile conseguenza il visitatore non individua una valida ed utile guida alla lettura del pannello. Qualcuno potrebbe obiettare che un fruitore attento, impegnato e concentrato nella sua lettura, finisce per trovare il giusto modo per comprendere le informazioni trasmesse. La contro-obiezione – fondata – è che in un museo o in una mostra, il visitatore non deve sforzarsi nel trovare le chiavi di lettura per interpretare e assimilare una serie di informazioni. Dovrebbero essere sempre le informazioni stesse, attraverso il modo in cui sono organizzate e proposte, a generare automaticamente una lettura logica e consequenziale, capace a sua volta di condurre alla comprensione dei loro contenuti.
  3. Il pannello è ridondante di contenuti e le informazioni risultano sovrabbondanti. In questo caso specifico, una soluzione avrebbe potuto essere quella di distribuire i contenuti dei due comparti (1 e 2) su due pannelli distinti, riproponendo per entrambi – come collegamento e connessione concettuale – la sola mappa geologica. Ne avrebbe anche beneficiato la dimensione delle singole immagini e la distribuzione, meno compressa e sacrificata, dei testi.
  4. La classica modalità di affiancare all’immagine la relativa didascalia genera, specie se quest’ultima è lunga e articolata, una indubbia difficoltà di lettura e di ricerca di corrispondenza tra le descrizioni testuali e i particolari presenti nelle fotografie. In questo caso l’utilizzo della strategia delle “immagini all inside” (Cap. 4) avrebbe favorito l’assimilazione e la memorizzazione dei contenuti delle varie immagini e al tempo stesso contribuito a snellire l’aspetto grafico complessivo del pannello, decisamente troppo denso.
  5. Il pannello visto nel suo insieme potrebbe essere definito, con un’iperbole, “privo di sex appeal”. Gli manca infatti l’irrinunciabile funzione del coinvolgimento visivo; in altre parole non riesce a catalizzare l’attenzione del visitatore. Non incuriosisce e non attrae in modo particolare e questo a causa del suo aspetto complessivo, decisamente poco coinvolgente: troppe fotografie, troppo pochi disegni a spezzare una configurazione troppo monotona. Mancano elementi grafici (o fotografici) in grado di fungere da richiamo, generando curiosità e propensione all’attenzione e alla lettura. Un tale requisito è solitamente dato dall’uso dell’esemplificazione (Venturini, 2010a) basata su rappresentazioni che utilizzano oggetti della quotidianità per rappresentare concetti e situazioni (Cap. 4).

In ultima analisi, per svolgere nel migliore dei modi la sua funzione, in sede di progettazione questo pannello avrebbe dovuto: a) beneficiare di un’impostazione grafica che ne guidasse automaticamente la lettura, potenziando una divisione gerarchica di argomenti e sotto-argomenti; b) essere meno denso di contenuti, separando i due argomenti in due pannelli distinti; c) utilizzare per almeno una parte delle immagini la modalità all inside (Cap. 4), in grado di favorire l’assimilazione rapida dei significati di foto e disegni; d) prevedere l’uso delle esemplificazioni (Cap. 4) con l’inserimento di almeno un’immagine in grado di fungere al tempo stesso da richiamo visivo e da catalizzatore nel processo di apprendimento. Uno dei principali obiettivi perseguiti dalle sale museali o dalle mostre tematiche – la trasmissione della conoscenza – in questo specifico caso è stato dunque vanificato. Per far sì che questo non accada è necessario, anzi doveroso, curare con maggiore attenzione la fase del come dirlo. Quel passo della divulgazione che si pone come il logico seguito del cosa dire e che, con altrettanta importanza, va affrontato senza mai aggirare o sottovalutare il problema. Dal come dirlo deriva l’effettiva capacità non solo di alfabetizzare con successo il vasto pubblico nei confronti di un dato argomento, ma anche la possibilità di seminare interessi culturali attraverso il coinvolgimento dei giovani e giovanissimi, nell’attesa che il cambio generazionale produca i necessari, indispensabili frutti.

3. Un paradigma per le Scienze della Terra

Divulgare significa innanzitutto semplificare. In ambito scientifico – ma non solo – la divulgazione dei contenuti di un dato argomento, per risultare efficace, dovrebbe assecondare una serie di passi obbligati o, perlomeno, raccomandabili. Il primo, fondamentale, può essere riassunto dalla frase cosa non dire. Concentrarsi su questa imprescindibile necessità pone il divulgatore – specialmente quando questa figura coincide con quella del ricercatore o dello scienziato – nella condizione di vagliare con attenzione la summa delle conoscenze dalle quali attingere. Questo al fine di eliminare quanto potrebbe nuocere ai non addetti alla materia (la grande massa dei potenziali fruitori), tanto nella comprensione dell’argomento quanto nella direzione della facile memorizzazione di ciò che viene via via recepito e che sovente si rivela utile per comprendere le informazioni successive. Quasi sempre il cosa non dire implica un drastico ridimensionamento dei dati noti, degli effetti osservati, delle evidenze scoperte. E’ un passo, quello della “potatura del sapere”, che solo in apparenza si presenta facile e immediato. Al contrario, si tratta di un’operazione complessa la cui criticità deriva dalla necessità di ottenere una sintesi scientificamente corretta, necessariamente esauriente e chiaramente esposta. Questa preliminare operazione dovrebbe dunque essere in grado di generare un prodotto comprensibile, destinato a un pubblico ben predisposto e desideroso di apprendere, ma che al tempo stesso, come spesso accade, si presenta privo di solide basi conoscitive. Un pubblico eterogeneo che, prima di tutto, dev’essere incuriosito e stimolato affinché la necessaria concentrazione minima non lo abbandoni in corso d’opera. Incuriosire e stimolare: questo, in effetti, può configurarsi come un altro importante passo nel complesso e articolato percorso verso la divulgazione del sapere. Complesso per chi lo pensa e struttura ma che, come risultato, dovrebbe dare luogo a prodotti semplici e piani, facilmente assimilabili dai potenziali destinatari. Incuriosire è l’opposto di annoiare, e per non annoiare è necessario tenere presenti due importanti aspetti inerenti alla trattazione dei contenuti e alla trasmissione delle varie informazioni: a) seguire un percorso sintetico, logico e consequenziale; b) adottare strategie accattivanti e al passo coi tempi (Venturini, 2010a). Percorsi e strategie sono i due aspetti cardine della divulgazione, così come della didattica. In questa sede, facendo esclusivo riferimento alla divulgazione, si può aggiungere che per il percorso le scelte operative sono pressoché le medesime, sia che si intenda strutturare una serie di pannelli esplicativi (per musei o mostre tematiche), oppure si scriva un volume, o ancora si voglia realizzare un documentario o si intenda organizzare un sito web. Al contrario, se si considerano le strategie da porre in essere, il discorso varia in modo radicale a seconda delle differenti finalità (pannelli, volume, documentario, sito web). Un ulteriore importante passo riguarda la capacità di generare nei fruitori del prodotto divulgativo una sorta di “sicurezza di base” in grado di permeare l’intero processo di apprendimento, favorendo l’immediata comprensione di quanto osservato. Una sicurezza data dalla percezione che, a monte di ogni informazione ricevuta, è stata preliminarmente compresa la struttura cardine che sorregge e giustifica ogni nozione e concetto introiettati. È questa una sorta di griglia concettuale che deve risultare semplice e logica nella sua organizzazione minimalista (la sua vera forza). In essa il fruitore stesso dev’essere poi in grado di innestare i processi e i fenomeni dei quali è portato a conoscenza, collocandoli nel giusto rango gerarchico. Disattendere anche uno solo di questi tre passi sinteticamente esposti – cosa non dire, percorso e strategie, griglia concettuale – implicherebbe il mancato raggiungimento degli obiettivi della divulgazione: coinvolgere (i destinatari) e far comprendere (i contenuti). L’ultimo dei tre capisaldi – la griglia concettuale – potrebbe essere, per ora, il meno comprensibile; al tempo stesso però si rivela il più utile e, forse, quello che risulta in grado di generare le ricadute più produttive nel processo del travaso delle conoscenze. Ogni branca del sapere ha i suoi contenuti specifici e, come tale, prevede la possibilità di strutturare griglie concettuali predisposte ad hoc. Anche la griglia concettuale qui di seguito proposta si adatta a questi contenuti specifici. Il requisito base di una griglia concettuale relativa ad uno specifico sapere è la sua funzione di contenitore universale diviso in comparti a loro volta collocati in livelli gerarchici. Ogni comparto deve essere in grado di accogliere, distinguendola dagli altri, una grande mole di effetti con le relative cause. Pur assecondando tali premesse la griglia rischia di perdere la propria finalità – quella di semplificare la comprensione e agevolare l’apprendimento – se i comparti base che ne formano l’ossatura sono troppo numerosi. In questi casi la conseguenza logica è che finiscono col perdere efficacia in quanto difficilmente memorizzabili. Nel caso delle Scienze della Terra la strutturazione della relativa griglia concettuale risponde ai requisiti essenziali: i suoi comparti base sono tre in tutto. Il primo raccoglie le evidenze che raccontano i modi e i luoghi del formarsi di una successione rocciosa. Il secondo raggruppa quanto compete al deformarsi, sollevarsi e traslarsi di quei medesimi volumi di roccia. Il terzo raduna in sé ogni effetto dovuto alle alterazioni, chimiche e/o fisiche, subite dagli ammassi rocciosi sottoposti all’azione di aria, acqua, ghiaccio e vapore, e dei conseguenti modellamenti ed erosioni. Sono tre insiemi che, generalizzando e attingendo dalla nomenclatura geologica, potrebbero essere denominati litogenesi, tettogenesi e morfogenesi. Questa scelta però comporterebbe delle ricadute svantaggiose: la divulgazione, per essere considerata tale, necessita infatti di una volgarizzazione (entrambe derivano da vulgus) di molti termini scientifici i quali, qualora mutuati senza modifiche, produrrebbero il duplice svantaggio di non farsi né comprendere né tantomeno memorizzare. Come conseguenza logica, nel destinatario dell’informazione ne deriverebbe una chiusura mentale e, con ricadute altrettanto critiche, un crollo dell’interesse specifico. Il tipico e giustificabile atteggiamento di chi – a torto o a ragione – non si ritiene in grado di comprendere quanto ascolta, osserva o legge e perciò, più o meno consciamente, tende a rifiutare. I tre termini scientifici – litogenesi, tettogenesi e morfogenesi – sono stati volgarizzati (Venturini, 2009, 2010a,b,c) nei loro corrispettivi si forma, si deforma, si modella, in grado di trasmettere e rendere comprensibili concetti di base altrimenti astrusi e di non immediata percezione. Questa ‘terna geologica’ assurta a paradigma delle geoscienze, non assume l’aspetto di una semplificazione riduttiva. Il sapere non è minimizzato o reso in modo parziale, né tantomeno travisato, ma acquisisce semmai il valore di una sorta di traduzione, corretta e alla portata di tutti.

 

Fig2colori

Fig. 2 – L’albero, con la propria struttura gerarchica, ben rappresenta tutti i contenuti delle Scienze della Terra e costituisce un’immagine in grado di codificare sinteticamente ogni osservazione, fenomeno e processo geologico.

A tale proposito si può citare l’esperienza diretta degli scriventi che, nelle occasioni in cui sono avvalsi di tale paradigma (o griglia concettuale), utilizzandolo tanto in ambito divulgativo quanto didattico (mostre, conferenze, scuole superiori, corsi di laurea triennali e magistrali), hanno riscontrato un deciso incremento della comprensione generale con la conseguente capacità degli interessati di interagire con la materia, dimostrando assimilazione e memorizzazione di quanto appreso. In particolare, è stata utilizzata l’immagine di un albero (Fig. 2) che, con la propria struttura gerarchica, ben rappresenta tutti i contenuti delle scienze della Terra. Le radici, sepolte e invisibili, (metafora degli incessanti movimenti profondi dell’interno terrestre) coincidono con il movente; il tronco rappresenta la funzione portante svolta dalla tettonica delle placche (con le traslazioni e interazioni tra i blocchi crostali) e interpreta il ruolo della causa; infine gli effetti sono rappresentati dai rami principali (quanto quotidianamente osserviamo nelle porzioni più superficiali del pianeta). Gli effetti a loro volta sono scomponibili in insiemi omogenei (si forma, si deforma, si modella) che per le Scienze della Terra rappresentano un vero e proprio paradigma. Un paradigma che risulta in grado di codificare sinteticamente ogni osservazione, ogni fenomeno, ogni processo geologico nel quale possiamo imbatterci. A tutto questo si aggiungono le ricadute sull’attività antropica, anch’esse compatibili con l’utilizzo della similitudine dell’albero e rappresentate dalle risorse e dai rischi. L’utilizzo di questo paradigma delle geoscienze si rivela utile da due opposte prospettive. La prima riguarda quelle trattazioni e quei contributi propedeutici che hanno in sé l’obiettivo di chiarire la strutturazione generale delle Scienze della Terra, intesa come rapporti cause/effetti raggruppabili in insiemi separati ed omogenei, ma al tempo stesso in mutua interazione. La seconda, al contrario, parte dall’osservazione di un dato processo/fenomeno naturale e/o dei suoi effetti sul territorio e cerca, attraverso il ragionamento, di collocarli – a posteriori – nella griglia concettuale, portandoli ad occupare una precisa posizione logica.  Nello specifico, utilizzando il termine si forma, si induce in colui che ascolta o legge, una serie di stimoli in grado di concretizzarne intuitivamente il significato, seppure in modo inizialmente sintetico e parziale, ma mai fuorviante. Ognuno attingerà dalle proprie scarse o sufficienti conoscenze ed esperienze, attribuendo di volta in volta a quanto osservato (ad es. ai prodotti della sedimentazione) significati di trasporto e abbandono di materiali clastici, di accumulo di spoglie minerali di organismi in grado di generare impalcature o gusci, di deposizioni di cristalli per evaporazione di una soluzione soprassatura, e via dicendo. Al tempo stesso il si forma, accanto ad un ambito prettamente sedimentario, raggruppa e richiama anche i fenomeni e i prodotti connessi al magmatismo. “Si formano” anche le colate laviche, i depositi piroclastici (gli strati di ceneri e lapilli) e, per traslato, anche i vari corpi intrusivi che si consolidano a varie profondità crostali. Prende dunque forma un insieme litologico trasversale, concettualmente vantaggioso, che raggruppa in sé depositi di varia natura e origine, il cui carattere unificante è costituito dal loro generarsi, per deposizione o cristallizzazione da soluzioni soprassature e da fusi magmatici. Il si deforma, al contrario, per attuarsi necessita di qualcosa di solido e precostituito su cui applicare i propri effetti. Quel qualcosa sono i prodotti del si forma: le successioni rocciose (ma anche i depositi non ancora litificati). Questa imprescindibile necessità e consequenzialità (prima il si forma, dopo il si deforma) non deve però portare all’erroneo assunto che anche il si modella – ultimo dei tre contenitori concettuali – debba sempre essere un insieme di atti e di prodotti che si affermano solo a conclusione degli effetti deformativi. Nulla di più scorretto. Al si modella competono erosioni e alterazioni della più varia natura, capaci sì di esprimersi al meglio sui rilievi orogenetici deformati e sollevati, ma attive anche in contesti geologici completamente differenti. In genere, chiarire questo concetto amplia – da subito e in modo esponenziale – la capacità di fare comprendere la geologia e i suoi processi spazio-temporali. In tal caso occorre specificare che una catena montuosa orogenetica, prima di diventare tale era una successione (si forma) di sedimenti e/o prodotti magmatici accumulati in ambienti prevalentemente marini e, in minor misura, continentali (deltizi e di pianura). Le prime deformazioni dunque coinvolgono i fondali marini, inarcando, spezzando, e traslando i volumi rocciosi da essi delimitati. Già dunque in condizioni subacquee cominciano a svilupparsi cedimenti, nicchie erosive e superfici di modellamento. Tali effetti si amplificano all’emergere dei fondali deformati, proseguendo incessanti, e con sempre maggiore intensità, durante tutto il sollevamento orogenetico. Da questo si ricava che, indubitabilmente, in molti casi i processi e gli effetti collegati al si forma e al si modella procedono contemporanei, in parallelo. Chiaramente, più le rocce passibili di deformazione si trovano in profondità e più saranno attaccate tardivamente dai processi modellanti. Il caso limite è quello delle rocce metamorfiche cosiddette ‘regionali’ (il più spinto tra gli effetti del si deforma). Ne derivano immensi volumi rocciosi che le temperature e pressioni attive nei nuclei profondi delle catene montuose originatesi per collisione crostale, hanno modificato drasticamente. Raccontare ai non cultori della materia i tempi di attivazione e affermazione del si modella, rispetto agli altri due insiemi di evidenze, spiana ulteriormente la strada verso la comprensione delle geoscienze. L’ultimo stimolo concettuale fornito dalla ‘terna geologica’, qui assurta a paradigma della divulgazione delle geoscienze, è forse il più importante e utile ai fini di una corretta impostazione didattica e divulgativa delle conoscenze geologiche di base. L’affermazione dei processi geologici sintetizzati nel si forma, si deforma, si modella non è da intendersi in senso lineare, ma circolare. Lo si apprezza nel momento in cui si prende coscienza che le erosioni e alterazioni ascrivibili al si modella generano a loro volta prodotti capaci di dare forma a molte successioni sedimentarie (si forma). E il ciclo si ripropone, privo di interruzioni. Un paradigma questo che è dunque in grado di a) sintetizzare in tre soli e comprensibili insiemi concettuali la totalità degli effetti e dei processi attivi a livello crostale; b) dimostrare l’avvicendarsi e il sovrapporsi, nel tempo e nello spazio, di fenomenologie differenti; c) evidenziare una circolarità di sviluppo e affermazione dei vari fenomeni geologici che rendono manifesto e comprensibile il fluire dinamico e continuo dei numerosi processi attivi sulla superficie terrestre e all’interno della crosta.

4. Strumenti e strategie

A valle delle citate, innegabili e diffuse carenze presenti nei pannelli esplicativi di moltissime sale museali nazionali – ma non solo riferibili alle Scienze della Terra – si propongono alcune modalità d’esecuzione concepite come un tentativo di invertire la rotta ai fini di una più efficace diffusione e comprensione del sapere. È proficuo elencare una serie di punti sensibili sui quali cercare di agire in mutua sinergia. In ogni pannello esplicativo – in genere compreso tra 0,7 e 2 m2 di ampiezza – si suggerisce di:

  1. trovare titoli sintetici e accattivanti da collocare a presentazione dei pannelli;
  2. ideare sottotitoli adeguati per gruppi di immagini legate da significati e caratteri comuni;
  3. ridurre drasticamente la quantità di testo a favore del materiale iconografico (si può essere analitici e particolareggiati nella stesura della guida alla mostra, della guida alla sala del museo);
  4. trasformare i contenuti dei testi in brevi introduzioni a gruppi di immagini e strutturare frasi sintetiche da affiancare alle singole immagini;
  5. nelle introduzioni brevi mettere in evidenza le frasi chiave, segnandole in neretto.

Inoltre, considerando l’insieme dei contenuti di un singolo pannello esplicativo, potrebbe risultare altrettanto utile tenere presenti alcune indicazioni di massima:

  1. ogni pannello dovrebbe trattare non più di un argomento; se questo si presenta complesso o ricco di contenuti può essere utile svilupparne i significati su due pannelli adiacenti;
  2. ogni pannello dovrebbe ospitare al massimo tre sottoargomenti (ideale sarebbe fermarsi a due), al fine di evitare effetti di intasamenti concettuali;
  3. in uno stesso pannello, nel caso ci siano due o più gruppi di immagini facenti parte ognuno di un sotto-argomento, è indispensabile identificare con numeri progressivi le relative introduzioni brevi al fine di guidare il visitatore lungo il corretto percorso di lettura;
  4. l’impaginazione del pannello deve presentarsi armoniosa, esteticamente gradevole, nonché in grado di tracciare, attraverso l’impostazione grafica, una sorta di percorso logico e obbligato per facilitare, nel modo più adeguato e consequenziale, la fruizione dell’intera successione di informazioni.

Nell’ambito di un generale e, a nostro avviso, indispensabile ridimensionamento dei testi a favore di un maggiore spazio da destinare alle immagini (Cap. 2) occorre tuttavia considerare che anche la trasmissione efficace e corretta dei significati insiti nell’apparato iconografico deve necessariamente passare attraverso l’adozione di opportune e mirate strategie. L’esempio raffigurato nella Fig. 3 – a parità di quantità di concetti da rendere espliciti attraverso un’immagine – evidenzia il differente impatto prodotto dall’uso di una metodologia classica (immagine + didascalia, Fig. 3a) confrontata con quella basata sulla strategia all inside (Fig. 3b).

fig03a

Fig. 3a – Faro di Cape Cod (Massachussets) nella posizione che occupava fino al 1995. Da questo sito fu traslato verso l’interno a tutela della sua sopravvivenza minacciata dall’erosione costiera.

Nel primo caso il fruitore è costretto a leggere il testo (didascalia) osservando la fotografia in tempi separati; oppure, in alternativa, ad interrompere la lettura a più riprese per cercare i corrispondenti significati del testo nell’immagine. Questo comporta l’ovvia perdita di concentrazione e la difficoltà a captarne i riferimenti in modo immediato e consequenziale. Ricordiamo inoltre che in un complesso di sale espositive o in una mostra, non è questa la sola immagine presente, e tali difficoltà aumentano proporzionalmente all’estensione del percorso museale.

Fig. 3 –  b) La fotografia del faro utilizza la strategia all inside.

Fig. 3 b – La fotografia del faro utilizza la strategia all inside.

Nel secondo caso invece (Fig. 3b), l’utilizzo della modalità all inside si avvale di scritte e riferimenti totalmente inseriti nel campo dell’immagine o appoggiati al suo margine. Complessivamente, le immagini così trattate riescono a fornire ogni necessaria informazione senza costringere l’osservatore a distogliere l’attenzione da esse. A tal fine è importante esprimere sempre ogni concetto o nozione in modo sintetico, quasi lapidario, con frasi brevi e brevissime. Il riferimento diretto ai particolari dell’immagine sarà affidato all’uso di frecce e/o linee le quali, nella loro funzione di guida, non devono essere mai tracciate in modo pesante o appariscente per non appesantire e confondere la visione d’insieme dell’immagine. L’uso diffuso di questi ultimi artifici grafici (frecce e linee) riveste un ruolo fondamentale nella comprensione immediata dell’immagine, consentendo anche di eliminare molte delle frasi di riferimento-collegamento che, al contrario, risultano necessarie quando si utilizzano le classiche didascalie. Nelle immagini all inside, in presenza di molte e diversificate scritte, diventa inoltre indispensabile guidare l’osservatore suggerendogli, attraverso una numerazione progressiva, il logico percorso di lettura. A questo proposito, l’esempio che segue può chiarire i vantaggi di una simile strategia. Nella metodologia classica la didascalia della fotografia di Fig. 3a, tesa ad evidenziare gli effetti di un’erosione costiera accelerata, potrebbe essere strutturata nel modo seguente. “Questa foto risale al 1995. raffigura il faro più potente del New England (U.S.A.), situato lungo la costa sabbiosa di Cape Cod (Boston), affacciata sull’Oceano Atlantico. L’erosione marina ha generato una ripida scarpata, alta 42 metri. Durante le ricorrenti tempeste l’asportazione della sabbia dal piede della scarpata rende molto instabile il pendio. Questo fatto comporta periodici e vistosi cedimenti – ben visibili nell’immagine – in grado di intaccare profondamente l’orlo superiore della scarpata causandone il rapido, progressivo e costante arretramento. Nel 1996, per preservare il faro da una sicura distruzione, l’intera struttura è stata… spostata di ben mezzo chilometro verso l’interno!” Al contrario, l’utilizzo della modalità all inside (Fig. 3b) dà l’opportunità di appoggiare alla fotografia i contenuti della didascalia (sintetizzati e suddivisi), favorendo la compenetrazione tra la parola e l’immagine.

fig03C

Fig. 3c – Quest’ultimo esempio invece mostra come l’applicazione della strategia all inside può dare vantaggi solo parziali se manca una dovuta attenzione alla trasmissione dei contenuti (il come dirlo).

La Fig. 3c sottolinea invece un utilizzo non ottimale della strategia “all inside”. In questo caso i punti critici sono essenzialmente due. 1) Manca un’indicazione e distinzione precisa tra cause ed effetti. 2) Risulta ambiguo e fuorviante il riferimento temporale allo spostamento del faro e non è immediata la percezione che il faro oggi non si trova più nella posizione raffigurata nell’immagine. Tra le strategie consigliate e particolarmente applicabili al campo delle Scienze della Terra, un posto rilevante è occupato dalle esemplificazioni (Venturini, 2010a), ovvero dalla possibilità di utilizzare situazioni, oggetti ed effetti tratti dall’esperienza quotidiana – intesa come patrimonio universale – adattandoli a contesti che, per loro natura (dimensioni, condizioni, tempi di azione), richiederebbero sforzi di comprensione spesso non indifferenti. La Fig. 4, riportata come evidenza dell’applicazione di tale strategia, si avvale dell’esemplificazione per presentare, all’interno di una mostra (Venturini, 2011), il significato concettuale del paradigma delle geoscienze, discusso nel Cap. 2. La torta a strati, oggetto concreto ed universalmente noto (requisiti indispensabili), ha il vantaggio di essere un elemento accattivante e al tempo stesso in grado di catalizzare l’attenzione, generando curiosità a motivo del particolare contesto (geologico!) nel quale viene utilizzata.

Fig. 4 – Pannello espositivo (dimensioni 200 x 120 cm, Venturini, 2011) che raffigura il paradigma delle Scienze della Terra (si forma, si deforma, si modella) utilizzando alcune delle strategie commentate nel testo.

Fig. 4 – Pannello espositivo (dimensioni 200 x 120 cm, Venturini, 2011) che raffigura il paradigma delle Scienze della Terra (si forma, si deforma, si modella) utilizzando alcune delle strategie commentate nel testo.

Al tempo stesso la torta a strati si dimostra capace di favorire la comprensione di concetti complessi (si forma, si deforma, si modella) in quanto oggetto concreto e circoscrivibile (contrariamente a una catena montuosa o a una successione di stati) e logico nei rapporti causa/effetto che esemplifica attraverso i relativi disegni. Anche la Fig. 5, strutturata per giustificare i differenti comportamenti – fragili e duttili – delle successioni rocciose collocate a crescenti profondità crostali, è il risultato di una strategia di esemplificazione.

Fig. 5a

Fig. 5a

La cioccolata (a) simula il comportamento fragile degli ammassi rocciosi che a basse profondità crostali (fino ad alcuni chilometri) sono sollecitati da compressioni laterali dovuti ai movimenti delle placche. Le rotture e le sovrapposizioni “a tegola” della tavoletta ben rappresentano il comportamento dei grandi spessori di roccia che si spezzano e accavallano lungo le superfici di faglia.

Fig. 5b

Fig. 5b

La stessa cioccolata (b), scaldata moderatamente e di nuovo compressa lateralmente, con il suo piegamento continuo e privo di rotture, avvicina il non esperto alla comprensione dei comportamenti che gli stessi ammassi rocciosi possono mostrare con il crescere delle profondità crostali (già intorno ai 10-15 km), con temperature di molte centinaia di gradi e pressioni di alcuni kilobar.

Fig. 5c

Fig. 5c – Nelle figure 5a, b, c: Applicazioni della strategia di esemplificazione, volte a facilitare la comprensione di fenomeni geologici complessi quali il piegamento e la sovrapposizione di ammassi rocciosi.

Gli elenchi telefonici (c), in qualità di oggetti tratti dalla quotidianità, si prestano inoltre a sottolineare le geometrie delle grandi faglie che, in una catena montuosa, hanno causato la sovrapposizione e il sollevamento di enormi ammassi rocciosi stratificati (da Venturini, 2010…). Una strategia questa con funzione di indubbio richiamo e soprattutto di facilitazione del percorso di apprendimento, passo irrinunciabile nell’alfabetizzazione di un pubblico di “non addetti ai lavori”. A tal proposito la divulgazione può essere riassunta in una semplice frase che racchiude in sé l’essenza stessa della mediazione culturale effettuata dagli “esperti” nei confronti degli “appassionati”: esemplificare per semplificare.

5. L’applicazione delle strategie

L’uso delle varie strategie proposte per la progettazione di un pannello esplicativo (Cap. 2), trova ancora una volta un esempio da commentare – questa volta positivamente – tra quelli che formano la mostra permanente “Alta Valle del But (Alpi Carniche): un territorio scandito dalle acque nel tempo” (Venturini, 2011). Il relativo pannello 5/15 (Fig. 6) si propone di illustrare gli effetti deformativi dovuti a un’antica orogenesi (formazione di catene montuose) attiva circa 320 milioni di anni fa nell’attuale settore alpino nord-orientale (orogenesi ercinica).

fig06

Fig. 6 – Pannello espositivo (dimensioni 200 x 120 cm, Venturini, 2011) che sintetizza l’evoluzione di un’antica catena montuosa sorta nei territori nord-orientali d’Italia poco più di 300 milioni di anni fa (orogenesi ercinica). Il pannello, a differenza di quello mostrato in Fig. 1, utilizza una serie di impostazioni e strategie che lo rendono più fruibile e attrattivo rispetto al precedente.

Entrando nell’analisi della struttura del pannello in oggetto si può notare che l’esigenza iniziale di focalizzare l’attenzione sulla presentazione dei contenuti è assolta dal titolo che, al fine di richiamare preliminarmente l’attenzione, è posto su fondo colorato; ad esso si associa il sottostante riquadro (stesso colore) che evidenzia uno stringato ma esauriente riassunto concettuale. Questa volta, a differenza di quanto messo in luce dal precedente esempio negativo (Fig. 1), il pannello tratta un solo argomento (si deforma), i testi sono essenziali, molto spazio è dato alle immagini (parte delle quali utilizzano la strategia all inside), la superficie del pannello (oltre 2 m2) non è sovraccarica di elementi; tutte prerogative queste che ne facilitano la lettura e la comprensione. Un importante aspetto che semplifica l’assimilazione dei contenuti di un pannello esplicativo è la capacità di fare intuire, in modo induttivo, il verso di lettura dei numerosi elementi. In tal senso, ad orientare il fruitore non è solo l’indicazione demandata agli eventuali numeri progressivi (in questo caso specifico, 1 e 2) assegnati ai singoli insiemi di oggetti – si ricordi come tale prassi si è rivelata insufficiente nell’esempio di Fig. 1 – ma soprattutto l’impostazione grafica data ai differenti gruppi di informazioni. A questo proposito, nel pannello 5/15 (Fig. 6), la distribuzione dei due gruppi di immagini (1 e 2) secondo linee oblique, funge da guida naturale, assecondandone la corretta lettura consequenziale: dall’alto (a sinistra) verso il basso (a destra). Un secondo artificio grafico sottolinea – in modo altrettanto automatico – l’unico, utile senso di lettura del pannello. Tale artificio consiste nella distribuzione prospettica (oltre che obliqua) dei due gruppi di immagini, le quali si sovrappongono e ingrandiscono parallelamente al procedere del loro turno di lettura analitica. In questo esempio specifico, un elemento ritenuto utile a favorire la comprensione del collegamento tra gli elementi dell’insieme 1 e quelli dell’insieme 2 è la riproposta di un’immagine, la stessa, che funge da “passaggio del testimone”, richiamando concetti dai quali poi procedere nella comprensione delle nuove situazioni. Da ultimo, si sottolinea come il fondo in colore tenue e sfumato, utilizzato come base per gli elementi dell’insieme 2, abbia il vantaggio sottile di evidenziare e discriminare, con ancora maggiore enfasi, questi oggetti dalle restanti informazioni. Sarebbe stato ridondante, nonché sconveniente ai fini di un complessivo impatto estetico del pannello, proporre anche per gli elementi dell’insieme 1 un fondo colorato. Un pannello esplicativo non deve risultare mai eccessivamente sovraccarico di colori e immagini che finirebbero col creare disorientamento e un senso di confusione nei visitatori.

Fig-7a

Fig. 7a

Fig-7b

Fig. 7b

Un punto di forza particolare di questo pannello risulta l’uso dell’esemplificazione (Cap. 4). Cardine di questa strategia è l’utilizzo di un oggetto tratto dall’uso quotidiano – un asciugamano (Figg. 7 a, b) – il quale ben si presta a simulare le grandi deformazioni delle rocce generate nel Carbonifero tra Cadore e Carnia, nonché i loro differenti tempi di attuazione e di orientamento, e l’inevitabile zona di interferenza reciproca. In aggiunta, le spinte orogenetiche, distribuite a ventaglio durante la “fase carnica”, sono rese concrete dall’aggiunta di una mano aperta che, simulando una spinta sull’asciugamano, lo comprime deformandone i bordi.

Fig-7c

Fig. 7c

Un ulteriore utilizzo della strategia dell’esemplificazione prende corpo nel parallelo tra le successioni rocciose piegate (evidenziate nelle fotografie) e i due libri (Fig. 7 c), chiaro e scuro come le rispettive rocce.

Anche l’uso dello scontro ferroviario (Fig. 7 d), altra esemplificazione vantaggiosa, risulta utile per fare comprendere i meccanismi e gli effetti dell’intenso raccorciamento crostale per faglia, qui generato come ultimo atto dell’orogenesi ercinica, allorquando gigantesche scaglie di roccia si sovrapposero le une alle altre proprio come in un accatastamento di vagoni.

Fig-7d

Fig. 7d – Le immagini delle Figure 7a, b, c, d, tratte dall’esperienza quotidiana,hanno sempre un impatto – psicologico e divulgativo – molto produttivosul visitatore (v. testo).

Un’ultima considerazione riguarda le immagini delle esemplificazioni appena commentate (Figg. 7 a, b, c, d). Esse rivestono anche un’altra importante funzione: quella di attrarre il visitatore invogliandolo e predisponendolo alla “incuriosita lettura” dei contenuti, passo questo da non sottovalutare nell’ambito della strutturazione dei pannelli esplicativi, troppo spesso letti sommariamente (Cap. 1) e disattesi nella loro funzione informativa.

6. L’applicazione del paradigma

Al fine di esemplificare, a scopo divulgativo, l’utilizzo del paradigma delle Scienze della Terra (si forma, si deforma, si modella), è stato appositamente progettato un pannello esplicativo (Fig. 8). Oltre all’uso del paradigma, il pannello si avvale di un’impostazione grafica che asseconda le considerazioni emerse nei capitoli precedenti e che – nelle intenzioni degli autori – dovrebbe risultare funzionale ad esprimere un univoco percorso di lettura.

Fig. 8 – Progetto di pannello espositivo (dimensioni 2 x 1,2 m) che utilizza alcune delle strategie proposte nel testo e rappresentate da: a) impaginazione basata su linee oblique; b) didascalie e testi introduttivi strutturati in modo sintetico; c) uso del paradigma delle scienze della Terra; d) utilizzo di immagini (montagne russe) capaci di incuriosire e attrarre.

Fig. 8 – Progetto di pannello espositivo (dimensioni 2 x 1,2 m) che utilizza alcune delle strategie proposte nel testo e rappresentate da: a) impaginazione basata su linee oblique; b) didascalie e testi introduttivi strutturati in modo sintetico; c) uso del paradigma delle scienze della Terra; d) utilizzo di immagini (montagne russe) capaci di incuriosire e attrarre.

Un’analisi critica dell’impaginazione dei pannelli esplicativi proposti nelle sale museali e nelle mostre consente di evidenziare, quasi senza eccezione, la scelta di una disposizione a scacchiera in cui gli elementi (testi ed immagini) sono disposti secondo direttrici tra loro perpendicolari (Appiano, 1998). Tale assetto, mutuando l’impaginazione comunemente adottata nei libri di testo scolastici, tende a presentare gli argomenti in modo troppo convenzionale e improntato a una fruizione di tipo mnemonico-nozionistico. In questa sede si propone un modello alternativo fondato sull’utilizzo di direttrici diagonali in grado di enfatizzare una moderna e accattivante distribuzione prospettica dei vari elementi (Figg. 4, 6 e 8). Questo al fine di rendere più appetibile e coinvolgente anche l’impaginazione dei pannelli esplicativi, andando incontro a esigenze estetiche che sempre più spesso e in ambiti sempre più diversificati utilizzano modalità di rappresentazione in 3D o che sono in grado, come in questo caso specifico, di richiamare l’idea di tridimensionalità. Utilizzando l’esempio di pannello esplicativo (Fig. 8) si può notare come la sua essenziale rappresentazione geometrica (Fig. 9), sfrondata dei contenuti, metta in evidenza alcuni requisiti che generano l’armonia estetica di fondo, invogliando il fruitore alla sua lettura (uno degli obiettivi di chi struttura un pannello). Per ottenere dei buoni risultati non occorre rivolgersi a un grafico, ma occorre riservare all’aspetto grafico la dovuta considerazione, trattandolo con la stessa importanza riservata ai contenuti.

Fig. 9 – La figura sottolinea la distribuzione delle linee di impaginazione del pannello raffigurato in Fig. 8, basate sulla posizione degli ingombri di testi e figure. Una coerenza grafica nell’organizzazione dei testi e delle immagini rende un pannello armonioso e gradevole alla vista, esteticamente attrattivo e in grado di “farsi leggere” con maggiore facilità.

Fig. 9 – La figura sottolinea la distribuzione delle linee di impaginazione del pannello raffigurato in Fig. 8, basate sulla posizione degli ingombri di testi e figure. Una coerenza grafica nell’organizzazione dei testi e delle immagini rende un pannello armonioso e gradevole alla vista, esteticamente attrattivo e in grado di “farsi leggere” con maggiore facilità.

Più in particolare, si osservi come, nei due insiemi omogenei di immagini, quello di sinistra sia distribuito secondo linee parallele che di volta in volta uniscono parti identiche e ripetitive delle singole immagini (i vertici delle stesse, i vertici delle singole didascalie, punti singolari e ripetuti per ognuna…). In questo assetto geometrico i tre gruppi – ognuno formato da immagine, didascalia, titolo ed età – si giustappongono in sovrapposizione assecondando una distribuzione non casuale ma regolata da linee verticali. Il secondo insieme di figure (tratte da Google earth), a differenza del precedente vede un progressivo ingrandimento delle immagini procedendo verso l’osservatore. In questo caso la distribuzione delle immagini è regolata da un sistema di linee debolmente convergenti verso l’alto a sinistra assecondando il senso di prospettiva. Come si può facilmente notare, anche per questi gruppi di immagini e titoli le linee oblique uniscono le posizioni dei principali e corrispondenti vertici. Anche l’ingombro del testo introduttivo principale (testo 1 in Fig. 8) segue la medesima organizzazione prospettica delle immagini. Non assecondarla avrebbe comportato un evidente, seppur limitato, squilibrio estetico che avrebbe ostacolato la lettura fluida del pannello. All’interno del pannello esemplificativo (Fig. 8) è presente, in posizione centrale, un elemento avulso (fotografia montagne russe). Per la sua palese estraneità al contesto geologico-geomorfologico, richiama e incuriosisce il fruitore catalizzandone, fin dal primo momento, l’attenzione. Inoltre, questo elemento estraneo, grazie alla sua particolare geometria e al senso di moto che trasmette, sottolinea in modo indiretto e subliminale il percorso e il verso di lettura della successione di immagini, rafforzando la funzione delle frecce disegnate in tratteggio. Attratto dall’immagine centrale – avulsa dal contesto geologico – e dalla parallela traccia di lettura del pannello, il visitatore percepisce in via preliminare anche le tre tappe fondanti di questo percorso iniziatico attraverso le modifiche subite dal territorio nel corso dei milioni d’anni: “Dal mare – Alle Montagne – E poi di nuovo al Mare!”. Le tre tappe sono scritte in massima evidenza utilizzando un carattere che si stacca nettamente rispetto al font dei testi e delle didascalie. La collocazione delle tre tappe accompagna la distribuzione delle immagini ed enfatizza la traccia del percorso di lettura (in tratteggio). Immagini, tappe e verso di lettura del percorso sono in grado di sviluppare una sinergia concettuale utile a rafforzare nel fruitore le sensazioni di ordine e di semplificazione di quanto si prepara ad assimilare. Per un pannello esplicativo il requisito di invogliare e predisporre il visitatore alla sua comprensione è un fattore di massima importanza. Questo è tanto fondamentale che spesso la scelta di soffermarsi sulla lettura di un pannello scaturisce proprio dalla possibilità di ricevere una sensazione di “sostenibilità dell’informazione”; tale concetto per il visitatore è traducibile nel pensiero: “Questo anch’io sarò in grado di capirlo!”. In questo pannello (Fig. 8) le informazioni sono raggruppate in insiemi coerenti, graficamente consequenziali, identificabili come gruppi distinti di immagini ben percepibili (serie di disegni e serie di viste satellitari). Due testi introduttivi, riquadrati in modo enfatico e distinti con numeri progressivi segnati in rosso, si impongono come elementi propedeutici la cui lettura deve precedere quella delle due serie di immagini. Nel testo 1 la presenza del titolo funge da richiamo, guidando l’inizio della lettura del pannello esplicativo. Il fondo colorato di questo testo, scritto anche in corpo maggiore, ne enfatizza indirettamente il ruolo primario e il livello gerarchico. In entrambi i testi la fruizione dei concetti è favorita dallo spezzare gli stessi in 3-4 capoversi. Non è opportuno proporne più di 3 (al massimo 4), altrimenti questa strategia perde efficacia. I concetti espressi nei due testi sono strutturati in modo molto sintetico, requisito questo di importanza fondamentale nell’organizzazione di un pannello esplicativo. Il testo 1, di carattere introduttivo, chiarisce e sottolinea le cause che stanno alla base delle geologiche globali. Il testo 2 è invece dedicato alla presentazione sintetica degli effetti e si conclude con un richiamo al paradigma, chiave di lettura per l’assimilazione dei contenuti del complessivo pannello. Questa sintetica rappresentazione di cause ed effetti è calibrata in modo da generare nel visitatore la consapevolezza che la comprensione dei contenuti è alla propria portata, invogliandolo a proseguire nella lettura. Osservando il gruppo di disegni sulla sinistra si nota che le informazioni sono organizzate secondo una gerarchia ripetitiva e ben evidenziata. I dati espressi per ogni figura riguardano: a) le successive posizioni dell’India occupate nella sua migrazione verso nord; b) le vicissitudini subite dalle propaggini marine settentrionali dell’India, ossia dalle successioni sedimentarie accumulate da tempi paleozoici; c) il tempo (età geologica) in cui tali eventi si collocano. In tutte le figure ogni informazione di rango differente è stata collocata nella medesima posizione relativa; condizione essenziale questa per generare rapidi collegamenti (qui favoriti anche dall’uso delle doppie frecce) i quali restano i medesimi col proseguire della lettura. Non sarà sfuggito che nel primo gruppo di immagini (sulla sinistra) le didascalie – seppure sempre sintetiche – sono più abbondanti. Anche in questo caso si tratta di una strategia atta a favorire la completa fruizione del pannello. In tal modo il percorso di assimilazione si svolge “in discesa” (come le montagne russe dell’immagine centrale!) prevedendo, col procedere della lettura, una crescente attenzione dedicata all’immagine – più gratificante e di più immediata comprensione – piuttosto che ai testi. Un discorso a parte merita la distribuzione grafica delle immagini e degli spazi dedicati ai testi e alle didascalie (Fig. 8). Nel caso specifico del pannello esplicativo oggetto di questo capitolo, il suo progetto grafico per dimostrarsi coerente e vantaggioso ha assecondato tre presupposti irrinunciabili: a) trasmettere una sensazione di complessiva armonia estetica, evitando impressioni di dissonanza o, ancor peggio, di confusione; b) imprimere un indispensabile “ritmo grafico” che favorisca la lettura; c) collocare i gruppi di immagini in modo tale che la tappa intermedia (Alle Montagne) risulti in posizione “sopraelevata” rispetto alle tappe riferite al mare, assecondando dunque la percezione del “sollevamento”. Infatti, la presenza di una coerenza concettuale, oltre che estetica, genera nel visitatore un’amplificazione della comprensione e della memorizzazione. A questo proposito la Fig. 10 propone una prima versione del pannello in cui si disattendeva il terzo punto di questa impostazione, ponendo le montagne in posizione “ribassata” rispetto a quella del mare. Sarebbe opportuno far sì che la coerenza concettuale guidi sempre la composizione grafica di immagini e testi e che l’impaginazione del pannello non sia subordinata a mere esigenze grafiche.

Fig. 10 – Proposta alternativa di strutturazione del pannello raffigurato in Fig. 8. Pur utilizzando i medesimi elementi (v. Fig. 8) sono evidenti alcuni macroscopici errori di impaginazione che penalizzano la fruizione dell’oggetto (v. testo).

Fig. 10 – Proposta alternativa di strutturazione del pannello raffigurato in Fig. 8. Pur utilizzando i medesimi elementi (v. Fig. 8) sono evidenti alcuni macroscopici errori di impaginazione che penalizzano la fruizione dell’oggetto (v. testo).

L’impostazione tradizionale di un pannello potrebbe prevedere in aggiunta lo sviluppo di ulteriori argomenti correlati. Come esempio, al pannello esplicativo di Fig. 8 potrebbero essere aggiunti i seguenti approfondimenti:

a) i punti caldi (hot spot) – visibili nella prima serie di immagini come grandi bolli concentrici – e le relative emissioni laviche sul territorio indiano, con le conseguenze prodotte (estinzione di massa al limite Mesozoico-Cenozoico);

b) il comportamento dinamico – osservato in sezione – dei margini della “placca India” e di quelli della “placca Eurasia” nel corso della rotta di collisione e durante lo scontro diretto tra le rispettive aree continentali;

c) il glacialismo nella Catena Himalaiana (modellamenti, accumuli, aspetto ed evoluzione dei ghiacciai);

d) la dinamica fluviale e la genesi dei depositi alluvionali nella pianura e nel delta del Gange; e) i caratteristici depositi sedimentari che coprono i fondali del Golfo del Bengala.

Sarebbe tuttavia un grave errore cercare di presentare all’interno di questo pannello – anche solo in modo sintetico e parziale – uno (o alcuni) degli argomenti sopra citati. Questo perché nel caso specifico aggiungere approfondimenti avrebbe il duplice effetto di appesantire la fruizione del pannello e di interrompere il filo conduttore rappresentato dal paradigma (si forma, si deforma, si modella). Un filo conduttore da non spezzare con altre informazioni di rango subordinato. Così facendo si ricadrebbe nell’errore commentato nel Cap. 2 (Fig. 1) che genera una sensazione di frustrazione nell’utente museale. Al contrario, ogni argomento citato meriterebbe di essere approfondito in un pannello a sé stante, rigorosamente monotematico, tale da enfatizzarne le singole peculiarità.

7. Conclusioni e suggerimenti operativi

Le criticità frequentemente riscontrabili nei pannelli esplicativi utilizzati in ambito museale e nelle mostre possono essere così riassunte:

a) mancanza di una manifesta gerarchia tra argomenti e sottoargomenti, capace di indurre nei fruitori il dannoso “effetto arbusto”, generato quando tutte le informazioni sono poste sullo stesso piano d’importanza;

b) evidente squilibrio tra l’eccessiva quantità di testi rispetto all’ingombro delle immagini, congiuntamente a una mancata percezione di corrispondenza immediata tra testi e immagini.

c) mancanza di impostazioni grafiche accattivanti e funzionali a suggerire un corretto ordine di lettura;

d) percorsi (il cosa dire) troppo complessi e/o ridondanti di informazioni minori e trascurabili;

e) mancanza di opportune strategie (il come dirlo), che si traducono nell’assenza di esemplificazioni tratte dal vissuto quotidiano, alle quali è demandato l’importante ruolo di guidare il pubblico dei non esperti alla comprensione di fenomeni e processi complessi;

f) assenza di una griglia concettuale con funzione di ordinamento e semplificazione del sapere, strutturata per rendere comprensibili i concetti base della materia trattata, spesso di non immediata percezione;

g) utilizzo di un’impaginazione grafica basata su linee verticali e orizzontali con testi e immagini che nel pannello formano insiemi statici, troppo spesso simili all’impaginazione – poco accattivante e mal sopportata – dei libri di testo.

Tutto questo ha come effetto l’allontanamento del visitatore dalla fruizione dei contenuti o, nel caso di una scelta opposta, la crescente sensazione di insoddisfazione e frustrazione. Le proposte operative utili a risolvere le criticità sopra esposte possono essere schematicamente così riassunte:

i) ridurre drasticamente la quantità dei testi a favore del materiale iconografico, trasformando i contenuti dei testi stessi in brevi introduzioni a gruppi di immagini;

ii) trattare, in ogni pannello, non più di un argomento e ospitare al massimo tre sottoargomenti (ideale sarebbe fermarsi a due) al fine di evitare affollamenti concettuali;

iii) utilizzare almeno per le immagini più dense di contenuti la strategia all inside, che consente di indicare direttamente sulle immagini i ruoli e i significati dei singoli particolari, eliminando lunghe e illeggibili didascalie;

iv) impaginare i pannelli in modo armonioso ed esteticamente gradevole, suggerendo attraverso la stessa composizione grafica il percorso logico di lettura dei contenuti;

v) distribuire, almeno in parte, l’impaginazione dei contenuti (brevi testi e immagini) secondo diagonali che, unitamente ad effetti di sovrapposizioni parziali tra le varie immagini, riescano a produrre sensazioni prospettiche che richiamino le rappresentazioni in 3D;

vi) utilizzare la strategia dell’esemplificazione, prendendo spunto dagli oggetti della quotidianità per rappresentare cause ed effetti relativi ai contenuti da trattare (esemplificare per semplificare);

vii) usare immagini – almeno una per pannello – che per la loro stranezza e/o l’apparente estraneità all’argomento trattato sono in grado di stupire e catalizzare l’attenzione;

viii) fare sempre in modo che il visitatore, al termine della lettura del breve testo introduttivo, possa percepire una “sostenibilità dell’informazione”.

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Questo contributo – autorizzato alla pubblicazione sul web – rappresenta la versione estesa, arricchita di immagini e testi, del lavoro Venturini C. & Pasquaré F., 2013 – Strategie di comunicazione delle Scienze della Terra. Nuova Museologia, 29 (2), 38-44.

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