Ma è così difficile spiegare (e capire) l’argomento depositi sedimentari?

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Ma è così difficile spiegare (e capire) l’argomento “depositi sedimentari”?

Corrado Venturini Università di Bologna, Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico Ambientali

Depositi sedimentari: gioie e calvari

Non sono mai riuscito a trovare chiarezza nei testi che affrontano l’argomento depositi sedimentari. Anzi, per molti motivi, sono sempre riusciti a rendere la trattazione estremamente complessa e macchinosa, generando un’indiscutibile confusione di fondo. Tutto questo si ripercuote tanto sui docenti (specie quelli di estrazione biologica, e la colpa non ricade su di loro ma proprio sui testi che non fanno chiarezza) quanto, a maggior ragione, sui loro studenti.

Il giudizio, severo ma incontrovertibile, è applicabile ad ogni tipo di testo, da quelli delle medie inferiori fino a quelli destinati agli studi universitari. Aggiungo, doverosamente, che nei testi che sto criticando (costruttivamente) i singoli oggetti di questo argomento – gli insiemi omogenei di rocce – sono sempre trattati in modo corretto e quasi sempre esauriente. Ci mancherebbe altro. Ma allora, dove sta il vero problema? Potrebbe essere sintetizzato nella mancanza di una chiave di lettura in grado di collocare i principali tipi di depositi sedimentari (rocce e sedimenti) all’interno di una griglia logica e vantaggiosa.

Occorre aggiungere che nei libri di testo della scuola superiore alle rocce sedimentarie/sedimenti è anche dedicato pochissimo spazio. Difficilmente si supera il paio o la manciata di facciate. E’ un peccato perché gli studenti si coinvolgono, interessano e affascinano proponendo loro qualcosa di concreto, come possono ad esempio essere i campioni di rocce e di sedimenti.

A questo punto molti insegnanti (forse tutti) obietteranno che i campioni di roccia/sedimento sono sì concreti, ma al tempo stesso tanto coinvolgenti quanto potrebbe esserlo un blocco di plastilina, e per di più grigio. E’ vero, concordo! Ma non dipende dai campioni. Piuttosto è la sottile sensazione di ‘inutilità della conoscenza’ relativa a quei campioni che allontana dall’argomento sia gli studenti sia gli insegnanti.

Avrete capito che sono un fautore dell’analisi speditiva dei campioni di rocce in classe/laboratorio. Ma, da pragmatico, sono anche consapevole che con il monte ore annuo a disposizione si riesce sempre a fare e spiegare molto meno di quanto si vorrebbe o sarebbe utile e conveniente proporre. Utile e conveniente: ecco il punto. Quanto lo sarebbe l’analisi delle rocce sedimentarie/sedimenti nell’ambito della programmazione scolastica delle Scienze della Terra? Le ragioni di questa eventuale scelta sono giustificate da una serie di strategie didattiche. Eccole.

1 – La conoscenza del proprio territorio. Molte scuole italiane insistono su territori formati da un substrato roccioso sedimentario vario e ben esposto, al quale si aggiungono spesso sedimenti recenti (alluvionali, detritici, morenici,…) altrettanto significativi, visibili e campionabili.

2 – Il fascino dei viaggi esotici (spazio-temporali!). Ci sono zone, molto lontane da noi, entrate nell’immaginario collettivo per l’innegabile richiamo turistico e l’attrattiva esercitata dalla bellezza esotica dei loro fondali marini. Mi riferisco alle fasce intertropicali in cui prosperano le ‘scogliere coralline’. Con le loro barriere bio-costruite, ma anche con le immense retrostanti lagune, sono capaci di produrre svariati e affascinanti tipi di sedimento/roccia. Nel proprio passato geologico l’Italia con molti dei suoi territori, tanto alpini quanto appenninici, ha attraversato più volte le latitudini intertropicali. Questi lenti passaggi hanno lasciato segni evidenti archiviati sotto forma di particolari successioni rocciose sedimentarie. Dove? Sono veramente tanti i rilievi italiani che offrono tali testimonianze; mi limito a citare le Dolomiti per i territori alpini e il massiccio Gran Sasso – Maiella per quelli appenninici, ma potrei continuare con decine di esempi. Molte di quelle rocce, antiche fino a centinaia di milioni di anni, sono il corrispondente delle grandi scogliere e lagune tropicali di oggi. Sono variati, da allora, solo i tipi di organismi che le popolavano. I campioni di queste rocce ci proiettano non solo verso il nostro passato geologico, ma all’interno di paesaggi e di ambienti da sogno. Inoltre, non c’è paese o città che non abbia nei propri edifici,

pubblici e privati, una incredibile serie di rivestimenti che utilizzano queste antiche rocce, generate proprio in quegli affascinanti ambienti di scogliera tropicale di cui era ricca l’Italia ‘di un tempo’. Più in particolare mi riferisco alle scale e ai pavimenti (ma non solo) di chiese, scuole, stazioni, aeroporti, abitazioni,…

Queste due ragioni da sole giustificano la scelta di una strategia didattica che consentirebbe di utilizzare le rocce sedimentarie/sedimenti non come fine ma come mezzo. Un mezzo che diventa il collegamento concreto con situazioni, processi, contesti e dinamiche di rango geologico superiore.

Vi domanderete: “Perché trattare gli ambienti (paesaggi) presenti e passati - tali argomenti sono previsti nei programmi ministeriali delle Scienze della Terra – utilizzando per forza i campioni di roccia/sedimento?” Per favorire il coinvolgimento diretto, l’aggancio con qualcosa di concreto che, se ben introdotto come elemento che ha letteralmente viaggiato attraverso il tempo per fornirci un’affascinante fotografia del passato, è capace anche di suscitare interesse, favorire la memorizzazione e, cosa importantissima, creare negli studenti i presupposti dell’analisi deduttiva: dagli effetti alle cause, ossia dai dati alle interpretazioni.

Le fortunate serie televisive dedicate alle investigazioni (NCIS, Bones, RIS, e per chi ha i miei tanti anni anche quella del mitico Tenente Colombo), che tanta presa hanno su quella stessa fascia di età che riempie le nostre scuole superiori, basano il proprio successo anche e soprattutto sull’analisi delle prove che, per passi successivi, perfezionano le scene del crimine. Non sottovalutate mai il modo col quale, all’interno del vostro corso, proponete ai vostri studenti di affrontare il riconoscimento di una roccia sedimentaria/sedimento. Fatelo cercando sempre di enfatizzare il lato investigativo dell’indagine che, a valle delle spiegazioni teoriche, svilupperete insieme a loro sui campioni di cui disponete. Così facendo asseconderete la propensione che le giovani generazioni (ma non solo loro!) spesso mostrano nei confronti delle analisi investigative e della risoluzione pratica di un problema affrontato partendo dalla ricerca dei dati nascosti. Con il duplice effetto di stimolare l’attenzione e favorire il loro coinvolgimento diretto.

Occorre tenere presente – anche nella scuola – che la conoscenza ottenuta attraverso l’analisi e il ragionamento (e non semplicemente ‘ascoltando una storia’) appaga e domanda sempre maggiori spazi. Sfruttiamo questa possibilità. E’ forse il modo più concreto ed efficace affinché le nuove generazioni si appassionino all’ambiente, al territorio, attraverso l’osservazione diretta dei suoi prodotti. Ricordiamoci sempre che solo ciò che si impara ad amare si tutela poi spontaneamente. La necessità che le nuove generazioni acquisiscano un comportamento di rispetto e tutela per l’ambiente è drammaticamente evidente in questo nostro instabile territorio, svilito dall’incuria, dal pressapochismo e dal dolo.

Permettetemi solo un’ultima necessaria considerazione. Ricordate sempre che le rocce sedimentarie/sedimenti sono anche una delle nostre ‘risorse quotidiane’. Tanto oggi come nel passato – prossimo e remoto – giù fino alla Preistoria, con i suoi manufatti litici. Basti pensare, oltre alle pietre da rivestimento prima citate, che dai calcari e dalle marne si ottiene il cemento; che la ghiaia con pezzatura fine è un ingrediente irrinunciabile del calcestruzzo dei nostri viadotti stradali e non solo; che il pietrisco è fondamentale nelle massicciate ferroviarie; che la sabbia, opportunamente impastata al cemento, è d’uso comune nei nostri edifici; che le argille trovano impieghi molteplici, tra tutti in quello dell’edilizia (ceramica e mattoni), nella cosmesi e nell’ambito termale; che il bitume (deposito organico) mescolato a pietrisco fine ci permette di viaggiare su gomma alle alte velocità; che senza carbone e idrocarburi (anch’essi depositi organici) il progresso e il benessere conquistati nell’ultimo secolo subirebbero un tracollo. E così di seguito.

Il percorso dell’indagine

Per anni – dal Liceo fino all’inizio del secondo anno di Scienze Geologiche – le conoscenze che avevo acquisito in merito ai depositi sedimentari mi avevano trasmesso la certezza (falsa!) che molte rocce sedimentarie “o erano arenaria o erano calcare”. Una possibilità escludeva l’altra. Cercando i testi recenti in dotazione alla Scuole Superiori (e non solo…) nulla sembra essere

cambiato nella possibilità di generare confusione sull’argomento. La falsa certezza crollò nel momento in cui presi coscienza che un’arenaria poteva al tempo stesso essere anche calcare. Il problema era tutto nell’utilizzo delle chiavi interpretative.

Per appropriarsi di un metodo d’indagine capace di risolvere i molti dubbi e le frequenti incertezze che si materializzano nel momento di affrontare l’argomento ‘riconoscimento e classificazione dei depositi sedimenari’, occorre precisare una serie di punti fermi utili tanto agli insegnanti quanto agli studenti.

a ) Nel discriminare i sedimenti dalle rocce sedimentarie occorre utilizzare la nomenclatura più vantaggiosa, ossia quella che non genera confusioni.

> In alcuni testi si trova la suddivisione tra rocce sciolte e rocce coerenti (o cementate), intendendo con le prime i sedimenti, cioè i depositi formati da particelle, granuli, clasti, disgregabili con una semplice pressione o per immersione in acqua. Meglio sarebbe riservare alle cosiddette (impropriamente) rocce sciolte la sola denominazione di sedimenti, mutuandola dal significato italiano del termine. In fondo nessuno, disteso su una spiaggia romagnola, si sognerebbe di indicare la sabbia chiamandola roccia (seppure ammorbidita dall’aggettivo sciolta). Di conseguenza anche aggiungere a una roccia l’aggettivo coerente (o cementata) diventa ridondante. Inoltre, le rocce sedimentarie e i sedimenti possono essere collettivamente denominati con il termine depositi (naturalmente sedimentari). Cercherete dunque di capire, prima di ogni altra cosa, se si tratta di roccia o di sedimento, tenendo presente che se avete dei dubbi l’acqua vi aiuta, dato che gli unici sedimenti che possono sembrare delle rocce sono le argille (secche). Se però ne mettete un frammento in una bacinella piena d’acqua, nel giro di alcuni minuti si trasformerà in poltiglia fangosa rivelando la sua vera natura.

b) I caratteri da investigare in un campione di roccia sedimentaria/sedimento sono tre: le composizioni, le tessiture (che riguardano soprattutto le dimensioni e le forme degli eventuali costituenti), e le strutture. Per gli studenti della Scuola Superiore è sufficiente concentrarsi sui primi due caratteri (composizione e tessiture), basteranno per evitare le ‘false certezze’.

> Le composizioni che hanno un certo interesse, in quanto più comuni e abbondanti, sono essenzialmente due: carbonatica e silicatica. Per ottenere in classe/laboratorio dei dati immediati sulle composizioni si possono usare due semplici rilevatori: una boccetta di acido cloridrico (soluzione diluita al 10%, il comune acido muriatico reperibile in ogni supermercato) e un punteruolo d’acciaio (un chiodino o una graffetta vanno altrettanto bene). Per i dati sulle tessiture è sufficiente usare una lente (ingrandimento minimo 10x).

c) Questo è un punto essenziale. Non tenerlo in debito conto genera la gran parte tanto degli errori presenti nei testi scolastici quanto delle difficoltà di comprensione da parte di insegnanti e studenti. Bisogna essere consapevoli che uno stesso campione di rocce sedimentarie/sedimenti DEVE essere classificato usando IN PARALLELO più criteri differenti. I risultati che si ottengono però NON devono essere ‘mescolati’. Solo così si otterranno sempre categorie e sottocategorie omogenee e confrontabili tra loro.

> Usare consapevolmente più di un criterio per classificare un campione di roccia sedimentaria/sedimento semplificherà la vostra vita di insegnanti propensi a parlare di rocce e quella dei vostri studenti, inducendoli ad ascoltare e a ottenere analisi corrette. Provate, in successione, ad applicare prima il criterio tessiturale, poi quello composizionale. Infine aggiungetene un terzo: quello genetico. Sappiate che i primi due sono criteri oggettivi, il terzo invece è interpretativo, e dunque soggettivo. Anch’esso comunque è molto spesso in grado di indicare in modo univoco l’origine del campione (come vedremo sinteticamente negli esempi). Altre volte invece non riesce a scegliere tra due differenti origini, entrambe logiche e possibili. In questo caso è utile proporle entrambe come alternative anche se, comunque, quasi sempre si riesce ad individuare la soluzione più realistica. Per le rocce sedimentarie la prima regola che genera un ordine geo-logico è quella di costruire gerarchie valide che si propongono come chiavi di lettura universale. In ogni caso teniamo presente che spesso le suddivisioni sulle quali si basano le classificazioni sono codifiche ‘umane’, utili a semplificare la comprensione della Natura, la quale -

per sua stessa… natura – spesso sfuma i limiti tra le proprie categorie. Accade così anche per alcuni insiemi di rocce sedimentarie/sedimenti.

d) Durante l’indagine è talvolta utile sperimentare quello che definisco un approccio negativo.

> Se, elaborando i dati e le evidenze raccolte empiricamente, non si riesce ancora a capire cos’è quella roccia sedimentaria/sedimento che abbiamo tra le mani, si cerchi allora di comprendere cosa NON può essere. Scartare delle possibilità, all’interno di un ventaglio di ipotesi, e più importante di quanto sembri. A volte la soluzione è proprio quell’unica soluzione che non è stata eliminata e ad essa si giunge non attraverso i dati (perché magari difficili da ‘vedere’) ma grazie ai… NON dati!

e) Non fare l’errore, in verità molto comune, di proporre l’equazione campione di roccia sedimentaria/sedimento = ambiente di formazione.

> Questo è valido solo in alcuni casi, che sono molti nell’ambito dei depositi organogeni, ma molto pochi tra quelli terrigeni. Comunque, trasmettere questa corrispondenza (spesso errata) è un altro degli elementi capaci di generare confusioni notevoli nella comprensione dei depositi sedimentari.

Classificazioni sì, classificazioni no

Per facilitare l’assimilazione dei passi da compiere verso il riconoscimento dei vari tipi principali di rocce sedimentarie/sedimenti procederò con qualche esempio (pochi, per ragioni di spazio), in modo da chiarire quanto più sinteticamente possibile la strategia da adottare, nel caso condividiate queste mie riflessioni propedeutiche. Prima però può risultare vantaggioso entrare nel merito degli errori – così fuorvianti! – nei quali ci si imbatte sfogliando i libri di testo delle Scuole Superiori. Ho esaminato otto volumi, pubblicati nell’ultima decina anni.

a) Sei testi su otto affermano che i depositi sedimentari sono suddivisibili in clastici, organogeni e chimici. Il che significa che un deposito “o è l’uno, o l’altro, o l’altro ancora”. Al massimo può essere una mescolanza di porzioni differenti, ma altrettanto riconducibili “all’uno, all’altro, o all’altro ancora”. Se tre distinzioni sono messe IN PARALLELO una deve per forza escludere le altre, altrimenti non è una classificazione!

L’errore. Mai mettere sullo stesso piano gerarchico distinzioni ottenute con criteri differenti. In questo caso, clastico è una distinzione che usa un criterio tessiturale, mentre organogeno e chimico sono entrambe distinzioni basate sul criterio genetico. Per spiegarmi meglio (cfr. Cap. ‘Alcuni esempi concreti’, Campione 1) posso anticiparvi che esistono depositi organogeni che al tempo stesso sono anche indiscutibilmente… clastici. Allora c’è qualcosa che non funziona nella classificazione, perlomeno così come ve la propongono. Qualcosa che è in grado di mandare in crisi voi e i vostri studenti.

b) Il settimo testo distingue i depositi sedimentari in terrigeni (questo è un termine corretto per definire, con criterio genetico, i depositi derivati dallo smantellamento di preesistenti rocce della più varia natura), evaporitici, carbonatici e silicei.

L’errore. Mentre gli ultimi due insiemi sono individuati con l’uso di un criterio composizionale, i primi due gruppi si basano su un criterio genetico. Per capirci, un deposito terrigeno è al tempo stesso ANCHE carbonatico o siliceo. Una ulteriore mancanza si ravvisa nell’utilizzo del gruppo depositi evaporitici (come categoria superiore), mentre lo stesso si comprende meglio se descritto come particolare sottoinsieme dei più ampi depositi chimici.

c) L’ottavo testo (autore straniero e autore italiano) propone qualcosa di ancora più indecifrabile. I depositi sedimentari si dividerebbero in due grandi gruppi: a) clastici (o detritici); b) chimici (o non detritici). Quest’ultimo insieme a sua volta si scomporrebbe in b’) calcari bio-chimici + calcari chimici; b”) evaporiti (gessi).

L’errore. Ce n’è moltissimi, organizzati a matrioska. Troppo difficile anche solo commentarli.

d) Un ulteriore testo – questa volta universitario (due autori statunitensi) – raggruppa e distingue i sedimenti in carbonatici, silicei ed evaporitici. Qualche pagina prima aveva definito gli ambienti in

cui si accumulano i vari tipi di depositi sedimentari, affermando che esistono ambienti palustri, pelagici (cioè di mare aperto), evaporitici e carbonatici.

L’errore. I primi due termini (palustre, pelagico) indicano una situazione per così dire fisiografica (cioè ‘paesaggistica’). Il terzo termine invece fa riferimento al clima, iniziando a creare un po’ di problemi, ma non ancora destabilizzanti. Osservate ora il quarto termine del gruppo: carbonatico fa riferimento a un criterio composizionale; il termine è messo sullo stesso piano degli altri tre (il che vuol dire: “Della serie: o è l’uno, o è l’altro”). Per minare alle fondamenta la validità di una classificazione simile, basti ricordare che i depositi carbonatici si possono formare anche in ambiente evaporitico e, in quantità considerevoli, in quello pelagico.

A questo punto, prima di passare ad alcuni esempi pratici, cercherò di proporre uno schema generale di classificazione (Fig. 1) che cerca di emendare gli errori appena discussi. I depositi sedimentari (rocce e sedimenti) possono essere riconosciuti e classificati usando – IN PARALLELO – più criteri: tessiturale, composizionale e genetico.

Con il criterio tessiturale si valuta se il campione è formato da elementi (clasti, granuli, particelle); si individua la classe dimensionale e, se si tratta di clasti sopra i 2 mm, se ne valuta anche la forma (frammenti o ciottoli).

Con il criterio composizionale si determina la natura chimico-mineralogica di quello stesso campione, utilizzando acido cloridrico diluito (HCl, che rileva la presenza di componenti carbonatiche) e punteruolo (che saggia la durezza dei costituenti). Carbonatica e silicatica (o silicea che dir si voglia) sono le composizioni più rappresentate in natura.

Con il criterio genetico si stabilisce la derivazione di quel medesimo campione. Esistono in tal caso possibilità differenti. Depositi terrigeni, dovuti a smantellamento fisico di antiche rocce; depositi organogeni (detti anche bio-chimici), dovuti all’attività di organismi (anche piante, ad es. alcuni tipi di alga) capaci di produrre gusci, impalcature e quantità inverosimili di bianche particelle fangose, tutti componenti che si accumulano nell’ambiente stesso di produzione. Depositi chimici, che comprendono il sottogruppo degli evaporitici, e che sono connessi a precipitazione di sali (dai gessi ai calcari) da soluzioni che per varie ragioni diventano soprassature. Depositi organici, rappresentati da sostanza organica (vegetale e animale, carbone e idrocarburi,…) che subisce una ‘cottura’ e maturazione progressiva dovuta al seppellimento, al carico e al conseguente aumento di temperatura.

Può accadere che in uno stesso campione troviamo la commistione di porzioni che derivano da contesti differenti (ad esempio, terrigena e organogena), oppure che hanno composizioni diverse (ad es. in parte carbonatica e in parte silicatica, come le finissime marne), o ancora con granulometrie differenti (ad es. ciottoli e sabbie). Basterà segnalarlo. Ma non sarà mai possibile affermare, saltando da un criterio classificativo all’altro, che il campione è solamente ‘clastico’, oppure (in alternativa!) solo ‘carbonatico’, oppure (in alternativa!) soltanto ‘evaporitico’.

Volendo completare l’analisi dei problemi connessi alle classificazioni dei depositi sedimentari, ci sarebbe un ulteriore punto da descrivere e commentare. L’ultimo. Riguarda le tessiture ma… sconfina anche nelle composizioni. Questa volta non sono gli autori dei libri di testo a sbagliare, dato che semplicemente si limitano a perpetuare una terminologia da sempre ambigua, in uso tra i geologi. Proverò a proporre una soluzione, anche se ogni modifica ad un ordine precostituito – ma questo è ‘disordine precostituito’ – ha buone probabilità di essere tacciata di eresia. Eppure sarebbe l’unico modo per generare comprensione dove oggi esiste confusione.

Abbiamo visto che le dimensioni (granulometrie) degli elementi di qualsiasi deposito clastico (ossia formato da particelle grandi, piccole o infinitesime) sono un aspetto cosiddetto tessiturale. Le classi granulometriche distinguono gli elementi di un deposito clastico classificandoli come pietrisco (spigoloso), ghiaie (arrotondate), sopra i 2 mm; sabbie tra 2 mm e 1/16 mm; silt tra 1/16 mm e 1/256 mm; argilla, inferiore a 1/256 mm.

Il problema. Il termine argilla qui è usato in senso puramente dimensionale, e dunque è riferibile a qualsiasi sedimento di qualsivoglia composizione (carbonatica, silicatica, ecc.). Nella

realtà lo stesso identico termine (argilla) assume anche un significato composizionale: è un deposito silicatico (più in particolare formata da fillosilicati).

La soluzione. Potrebbe essere quella di lasciare al termine argilla un valore esclusivamente composizionale (associabile sempre ai noti depositi fillosilicatici), e utilizzare invece una terminologia nuova, ad esempio polveri, per indicare gli elementi finissimi (sotto 1/256 mm) di qualsiasi deposito clastico. In questo caso le polveri a composizione fillosilicatica sarebbero le argille, mentre quelle a composizione carbonatica le note micriti.

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Per gli esempi di analisi (depositi sedimentari) vedi

http://www.darioflaccovio.it/libro.php/realizzare-e-leggere-carte-e-sezioni-geologiche-df0153_C806

cliccando “guarda dentro il libro”.

Citazione

Venturini C., 2010 – Ma è così difficile spiegare (e capire) l’argomento “depositi sedimentari”? ANISN, 41(3), 41-51.

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