Il chiodo fisso

Il suo sangue mi raggiunse insieme a un grido acuto. Il primo dopo tanta silenziosa sofferenza. Sentivo ora le ossa della sua mano crepitare sotto i colpi del martello. La croce fu lentamente sollevata da un groviglio di braccia e corde fino a che il suo corpo, saldamente appeso, non fu verticale. Anch’io assieme a lui subii la stessa sorte. Appeso a un legno a tre metri di altezza dal suolo mi sembrava di capire e meglio valutare gli avvenimenti degli ultimi tragici giorni.

Fu all’improvviso che incontrai il suo sguardo limpido. Senza bisogno di parole, senza ragionamenti e sforzi, senza più dubbi, mi fu facile comprendere l’essenza di ogni cosa. Condivisi quel dolore cosmico non causato dalle sole ferite aperte e sanguinanti di cui io stesso mi sentivo responsabile. I suoi occhi si socchiusero alla luce improvvisa di un lampo contro un cielo in rapida chiusura. Incontrai per la seconda volta il suo sguardo chiaro immerso nel viso sofferente, chinato verso la mia direzione. Questa volta riuscii a percepire, seppure a fatica, le sue parole: “In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso.”

Tutto si era compiuto. Ci staccarono dalla croce deponendoci sulla terra bagnata. Io fui abbandonato accanto a una pietra e intanto il suo corpo esanime fu portato lontano tra lo strazio e i pianti di chi lo seguiva.

Coperto di terra, sulla cima del Golgota, continuo a pensare a quelle sue ultime parole, al paradiso promesso. E intanto attendo, sperando che la ruggine finisca presto di consumare me, umile ed inconsapevole chiodo che duemila anni fa bloccò la sua mano al legno della croce.